di Carlo D’Elia "Inquinamento e Covid sono strettamente collegati". A lanciare l’allarme è l’epidemiologo Paolo Crosignani, già direttore dell’Unità complessa di epidemiologia ambientale dell’Istituto dei tumori di Milano, che commenta lo studio condotto dai ricercatori dell’Università dell’Insubria di Varese (Giovanni Veronesi, professore di statistica medica e primo autore del lavoro), colleghi dell’Università di Cagliari, dell’Imperial College di Londra e della società Arianet, che hanno pubblicato lo studio sulla rivista Occupational & Environmental Medicine del gruppo BMJ. Secondo l’analisi, a ogni aumento di 1 microgrammometro cubo di Pm2,5 su base annua, il rischio aumenta di circa il 5% il che corrisponde in termini assoluti a 294 ogni 100mila persone. L’interessante risultato è stato ottenuto analizzando la popolazione adulta della città di Varese (62.848 persone), seguita nel tempo da inizio pandemia a marzo 2021. Ma l’epidemiologo Crosignani ritiene che questo lavoro possa spiegare come mai nel Lodigiano e nella Bergamasca il virus riesca a diffondersi a ogni ondata molto rapidamente. Il dato da tenere sotto controllo è uno, ed è quello delle polveri sottili. L’aria della provincia di Lodi (terzo territorio più inquinato di Lombardia) registra una media annuale di microgrammi al metro cubo di Pm2,5, polveri sottili, che oscilla tra i valori 23 e 24, appena sotto il limite massimo di 25. A questo poi si aggiungono gli oltre 60 giorni di sforamento di Pm10 (35 è il limite concesso dall’Ue) registrati nel Lodigiano nel 2021. "Non è tanto il particolato a portarci il virus, ma la predisposizione delle persone che vivono in zone molto inquinate a prenderlo – spiega l’epidemiologo Paolo Crosignani –. I lodigiani convivono, magari senza accorgersene, con un costante stato pre-infiammatorio dei polmoni. è tutta colpa del Pm2,5 nell’aria. Si tratta di uno stato che è difficile da diagnosticare, anche con esami approfonditi, che può ovviamente portare anche ...
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