Graffignana. Io, prete in quarantena: prego, studio e lavoro

Don Gigi Gatti: "Fragile una società che si basa solo su scienza e tecnologia. Affidiamoci alla Provvidenza"

Don Gigi Gatti e la parrocchia di Graffignana

Don Gigi Gatti e la parrocchia di Graffignana

Graffignana (Lodi), 29 febbraio 2020 - «Domenica ho preparato il programma per gli animatori del Grest e del campo scuola estivo. Lunedì stavo entrando in casa di amici per un pranzo: polenta e oca. È stato allora che ho saputo di dovere andare in quarantena". E lei come si è comportato? "Ho detto ai miei amici: ‘Ragazzi, che facciamo?’. ‘Facciamo’. E ci siamo messi a tavola. Durante il pranzo ho raccontato di un volontario bergamasco che in Africa teneva lontano la malaria con un grappino tutte le sere, dopo avere saputo che il chinino fa male al fegato". Mole generosa, vitalità da vendere (meglio, da regalare), grande entusiasmo per tutto, don Luigi (Gigi) Gatti, lodigiano di Bargano, terra di vocazioni sacerdotali, da sei anni è parroco a Graffignana. Ha saputo di dover rimanere in quarantena per due settimane dal medico di una struttura che ospita una persona a cui il prete aveva fatto visita. La persona, operata all’ospedale di Codogno, era poi risultata contagiata. Don Gigi, problemi? "Prima di tutto la mia salute va benissimo. Sono solo perché ho momentaneamente congedato la perpetua a scopo precauzionale. La spesa la porta una signora che me la passa attraverso il cancello. In ogni caso non avrei problema perché ho una scorta di carne, salumi e vino che potrei arrivare tranquillamente fino a Pasqua". Com’è la sua giornata? "Giornata tipo: sveglia alle sei. Mezz’ora di tapis roulant. Ufficio religioso. Colazione. Alle otto la messa, inevitabilmente privata. Mi mette un po’ di tristezza perché mi sembra di tornare a prima del Concilio, quando ogni sacerdote diceva la messa agli altari laterali della chiesa. E nessuno seguiva. Penso che questa emergenza e il fatto di non poter celebrare, come si dice, ‘con concorso di popolo’, ci farà riscoprire la bellezza della messa domenicale e dell’incontro fra le persone". Ci sono anche i social. "Non condivido questo ricorso a Facebook e streaming. Piuttosto la messa in televisione. Il vescovo di Lodi, monsignor Maurizio Malvestiti, l’ha consigliato fin dall’inizio dell’emergenza". Il resto della giornata? "Lettura. Tre quotidiani. Studio. Preparo il pranzo. In cucina sono bravo. Mi spiace che in questi giorni nessuno possa apprezzare: minestrone di zucca, risotto alla salsiccia. In tempi normali ho a tavola con me dei sacerdoti, a volte sono giovani, altre volte ‘esodati’ o emeriti oppure cappellani delle carceri. Ho rivisto due film che mi erano piaciuti tanto, ‘Mission’, sull’esperienza della vita comunitaria dei gesuiti in America Latina, e ‘Parla con lei’ di Almodovar. Un capolavoro. C’è quella frase detta dal personaggio di Benigno: ‘Bisogna credere ai miracoli perché se non ci credi quando accadono non te ne accorgi’. Nel pomeriggio chiesa, ancora lettura, giardinaggio. Bella la vita da monaco, studiare e pregare". I suoi parrocchiani? "Non sanno che li aspettano delle lunghe prediche. Devo recuperare. Una fatica quotidiana rispondere a tutti i messaggi. Mi fanno piacere". Cosa ci insegna l’ emergenza? "La fragilità di una società che ha fatto della scienza la madre di tutte le verità. È bastato un video per fare oscillare il pil della Cina e quindi del mondo, come un bullone messo male che ci ha costretto a viaggiare come vent’anni fa. Questa emergenza può essere una occasione per rinnovare la nostra fiducia nella Provvidenza, nella sicurezza di essere nelle mani di Dio, benedetti in ogni situazione".