Lodi, il sacerdote volante: "Dall’aereo benedico i paesi colpiti dal coronavirus"

L’iniziativa del prete che sgancia preghiere nella 'zona rossa'

Don Gianni Regolani

Don Gianni Regolani

Lodi, 2 marzo 2020 - L’ultraggero candido volteggia nei cieli inquieti del Lodigiano. Pare che non ne discenda nulla, ma non è vero: quelle che discendono su Castiglione d’Adda, nel cuore della Bassa, isolata per il virus sono benedizioni, tante benedizioni. A sganciarle dolcemente è don Gianni Regolani, parroco-pilota di Polesine Zibello, nel Parmense, a una decina di chilometri da Busseto.  «Il cielo apre quel piccolo mondo che noi sperimentiamo sulla terra. Il mio istruttore di volo diceva e ha fatto incidere sulla sua tomba: ‘Chi scende dal cielo desidera ritornarvi’. Lo dice questo prete, parroco del paese da trentasei anni, che ogni giorno pare dimenticarsi che la carta d’identità segna 1941, passione per il volo nata nell’infanzia, un passato di sportivo militante (ha disputato un campionato italiano di sci nautico di velocità, ha praticato equitazione e preso parte alle gare di slalom gigante riservate ai sacerdoti).

Don Gianni, com’è nata l’idea della benedizione aerea?

«È andata così. Ho sentito via WhatsApp il messaggio vocale di don Gabriele Bernadelli, parroco di Castiglione d’Adda. Annunciava che dopo avere celebrato la messa a porte chiuse sarebbe uscito sul sagrato della sua chiesa portando il Santissimo. Gli ho telefonato per comunicargli la mia intenzione di effettuare una benedizione dall’alto. ‘Guardi, è bello che la gente alzi gli occhi verso il cielo. Alle tre e mezzo del pomeriggio vedrete un aereo bianco. Se volete, potete farvi segno della croce perché in quel momento scenderà su di voi la benedizione’. Così ho fatto. Ho volteggiato per tre o quattro volte sopra Castiglione d’Adda. Poi sono tornato e ho fatto lo stesso sulle tre parrocchie del mio paese».

Com’è nato il suo amore per il volo?

«Da piccolo. Abitavo a Parma in via Emilia Est. A otto anni andavo al campo di aviazione a vedere gli aerei. Nel 1977 sono andato in Venezuela come ‘fidei nonum’, sacerdoti che aiutano altri sacerdoti, e ci sono rimasto per cinque anni. A ogni viaggio che facevo andavo a molestare, per così dire, i piloti: volevo sapere, conoscere. Sono tornato in Italia. Quattro miei amici avevano un piccolo aereo ‘Storch’. Uno dei quattro, per suoi motivi, ha rinunciato. Mi hanno invitato a subentrare. Così ho fatto il brevetto da pilota di ultraleggeri e ho preso il suo posto. Accadeva dodici anni fa. Adesso abbiamo un Sova bianco, ala bassa, carrello rientrante, veloce».

Vola spesso?

«Si, ma non diciamolo troppo forte, sa, il vescovo (risata). Il volo mi fa conoscere tante persone».

Il ricordo più bello. «

Più di uno. Siamo partiti in trenta velivoli da Biella per Catania. In sei ore abbiamo sorvolato tutta l’Italia». Torniamo al volo nel Lodigiano. Che significato gli attribuisce? «È stato un modo, se vogliamo originale, per avvicinarmi a tutta la gente del posto, essere vicino a loro, vedendo la strade vuote, le case, le chiese. Tutto quello che potevo fare e donare era la benedizione».