Casalpusterlengo, di nuovo insieme 17 anni dopo

Ragazzo bielorusso riesce a trovare la famiglia che lo aveva ospitato quando era bambino

Lo scatto del 2002 con Vadzim, Fausto e Laura

Lo scatto del 2002 con Vadzim, Fausto e Laura

Casalpusterlengo (Lodi), 3 luglio 2020 - Bimbo bielorusso accolto a Casale agli inizi del Duemila diventato adulto ritrova la famiglia che lo ospitava. "Trovarselo alla porta dopo 17 anni, ormai uomo, è stata un’emozione incredibile". Dopo tante tragedie dovute al Coronavirus, la prima zona rossa è stata anche protagonista di una storia romantica che ha lasciato il segno nei suoi protagonisti.

Giovanni Pennè, agricoltore, la moglie Laura e il figlio Fausto, dopo 17 anni, hanno ricevuto la visita, direttamente dalla Bielorussia, di Vadzim "il bambino che, dal 2001, abbiamo ospitato tre estati per soggiorni terapeutici e poi perso di vista. Mai più avremmo pensato di rivederlo" testimonia il casalino emozionato (nel frattempo ha anche un altro figlio, Francesco di 16 anni). Oggi quel bimbo è un papà di 26 anni, sposato, con un figlio di due anni e mezzo e un lavoro molto impegnativo che lo porta in giro per l’Europa con il suo camion. Vadzim era stato accolto tramite l’associazione casalina “Vivi la speranza“. L’età adulta gli ha quindi permesso di realizzare il proprio sogno e trascorrere qualche momento con chi, a suo tempo, gli aveva lasciato nel cuore moltissimo amore. "Nei giorni scorsi si è presentato a casa nostra con il suo bagaglio pieno di ricordi. Forse neanche noi avremmo potuto credere alla sua vista se non ce lo fossimo ritrovato davanti. Un’esperienza incredibile, che ci ha riempito il cuore di gioia" ribadisce il lodigiano. "Non posso non pensare a persone come Antonia Frontori, Angelo Caserini e a tutti quelli che con loro, nel 2001, avevano fatto nascere l’associazione “Vivi la speranza“ a Casale, in supporto dei bambini che vivevano nei paesi vicini al luogo del disastro nucleare di Chernobyl - aggiunge - Vadzim mi ha contattato su Instagram. Non so come abbia fatto a trovarmi. Ci ho messo un po’ a riconoscerlo, avevo il dubbio di uno scherzo, o un hacker. Poi il giorno dopo ce lo siamo trovati a casa".

Ed è stato il momento di guardare insieme fotografie che, intanto, l’ormai giovane uomo si era caricato sullo smartphone. "In uno scatto ci sono lui, mia moglie e mio figlio appena nato, quando Vadzim era da noi, nel 2002. Ha amato da subito l’ambiente agricolo. Adorava i trattori, su cui era salito con me, gli animali, i gelati e l’andare in bicicletta. E adesso ricordava tutti i nomi dei nonni, degli zii, il posto e ci ha detto che non è cambiato niente. Ha precisato che tutte le foto scattate qui sono esposte in casa sua" ricorda emozionato. Anche se il bielorusso non parlava in italiano, salvo qualche parola, l’affetto ha vinto. "Per comunicare con noi utilizzava “Google translate“ sul telefono. Tra l’altro è arrivato con la mascherina, dicendo che in Italia è obbligatoria, ma negli altri paesi d’Europa no. Ha deciso di cercarci perché, per la prima volta, i suoi capi gli hanno commissionato un trasporto nel nostro Stato. Aveva appuntamento per caricare a un centinaio di chilometri da Milano, così ha fatto un giro per cercarci. Viaggia tutta Europa con il camion, però dice che l’Italia è fra i Paesi più belli" conclude. Il saluto è stato solo un arrivederci. Come quello proferito quando il ragazzino aveva 9 anni insomma. "Questa esperienza – conclude Pennè – ci rimarrà nel cuore così come era stato per l’accoglienza iniziale. Non finiremo mai di ringraziare chi l’ha resa possibile".