Ospedaletto Lodigiano (Lodi), 20 novembre 2013 - «Se questo è il modo cui viene trattato un cittadino italiano quando ha bisogno d’aiuto, allora mi vergogno di essere italiano». Il giorno dopo la sentenza con cui i giudici del tribunale greco hanno condannato a 10 anni di reclusione lo svizzero di 25 anni Alexander Georgiadis per «lesioni mortali», il padre di Stefano Raimondi, ucciso a 20 anni, nel luglio del 2011 sull’isola di Mykonos, a colpi di bottiglia, grida tutta la sua rabbia contro lo Stato che lo ha lasciato solo nel momento più brutto della sua vita.

Paolo Raimondi, come ha accolto questa sentenza, da molti giudicata una giustizia a metà?
«Il problema non è la sentenza, ma ciò che è avvenuto prima, il modo in cui sono state formulate le accuse: se per un delinquente come quello che ha ucciso mio figlio si chiede la condanna per un reato, lesioni mortali, che ha una pena compresa tra 6 e 12 anni, anziché per omicidio, il giudice davanti a un ragazzo incensurato che non ha mai fatto nulla non può che agire come ha fatto. Il vero scandalo è stato un altro: il comportamento dello Stato italiano».

Cioè?
«Dalla morte di Stefano sono stato lasciato solo. Né il ministro degli Esteri né quello dell’Interno si sono mai fatti sentire. Nessun aiuto è arrivato dall’ambasciata in Grecia. Mi sono dovuto sobbarcare tutti i costi del processo: se non avessi avuto i soldi per pagare il medico legale, il perito che ha analizzato il video della discoteca, l’animazione computerizzata che ha ricostruito i fatti e tutto il resto, come sarebbe andata a finire? Se fosse accaduto ad esempio al figlio di uno dei miei operai, forse il killer ne sarebbe uscito libero».

Nemmeno l’ambasciata l’ha aiutata?
«Macché: addirittura mi hanno chiesto 300 euro per l’interprete che avevano inviato dal consolato per seguire il processo».

In origine le accuse per Georgiadis erano di omicidio volontario. Cosa è cambiato?
«Un altro scandalo. Noi abbiamo scoperto del cambio di imputazione solo sei mesi fa, nessuno ci aveva detto nulla. A quel punto era troppo tardi. L’unica magra soddisfazione è stata riuscire a contrastare tutte le loro richieste di assoluzione».

Qual è l’ultimo ricordo che ha di suo figlio?
«L’avevo sentito all’una, poche ore prima che andasse in quella discoteca. Mi ha detto: “Papà, sono in un posto così bello che voglio tornarci con te”. Poche ore dopo è morto».

Tra un po’ ci sarà il processo d’appello. Tornerà in Grecia?
«Cos’altro potrei fare? Voglio dare giustizia a Stefano, mi costasse tutto quello che ho».

di Alessandro Gigante