Lodi, 8 aprile 2012 - Tra le tante piccole e grandi ingiustizie prodotte dalla riforma delle pensioni, introdotta senza alcuna gradualità, c’è il caso emblematico di Tindaro Cafarelli, docente vicino alla pensione che si è visto ‘aggiungere’ 3 anni di servizio. Ma il professore, che insegna educazione tecnica al Cazzulani, è pronto a lottare arrivando, se necessario, fino alla Corte di giustizia europea.
 

Professore, ci spiega il suo caso?
«Ho 40 anni di contributi e compirò 60 anni il 24 dicembre del 2012: secondo la penultima riforma sono un quota “100” (somma di età anagrafica e anzianità contributiva), pronto per l’agognata pensione. Tant’è vero che ho ricevuto dall’Ufficio scolastico il ‘decreto in uscita’. Nel comparto scuola, però, a differenza degli altri settori pubblici, per garantire la continuità didattica si può andare in pensione solo in base all’anno scolastico e non a quello solare, quindi dal 1° settembre e non dal 31 dicembre dell’anno precedente. Io, come altri docenti e personale Ata con la quota minima di “96”, lo scorso settembre ho presentato domanda di “collocamento a riposo”. Ma la nuova riforma previdenziale, fatta alla velocità della luce e quando erano già trascorsi 4 mesi dell’ultimo anno di carriera, costringe ora me e tanti altri lavoratori, a cestinare il decreto in uscita e a restare in servizio altri tre lunghi anni, alcuni addirittura sette. Persino l’ex ministro Fioroni ha dichiarato alla stampa che, per garantire parità di diritti a tutti i dipendenti pubblici e scongiurare un profilo di incostituzionalità della riforma, al personale scolastico che matura la pensione ad agosto 2012, devono essere assicurati gli stessi diritti riconosciuti a tutti gli altri al 31 dicembre 2011».
 

Cosa intende fare?
«Il Governo Monti non riconosce la specificità del comparto scuola, creando danno - dopo tagli selvaggi, blocco di contratti e scatti di anzianità - ai docenti in uscita ma rallentando anche in modo preoccupante l’entrata dei giovani. Con altri colleghi ho presentato ricorso al Tar e al Pretore del Lavoro. Il rischio, però, è che la causa si trascini per 2-3 anni: potremmo ottenere ragione dopo aver ormai subìto il torto. Così ho scritto alla Corte di giustizia europea per verificare la ricevibilità di un mio ricorso. Il vantaggio? La risposta arriva entro un paio di mesi».

laura.debenedetti@ilgiorno.net