Via Palestro, la cupola e l’ombra sul basista

A trent’anni dall’autobomba, condannati esecutori e mandanti (tra cui Matteo Messina Denaro) resta aperta la caccia a chi li aiutò

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MILANO

È lungo l’elenco dei mafiosi che le Corti d’assise di Firenze e Milano, in tempi diversi, hanno riconosciuto (con ruoli diversi) come responsabili della strage di via Palestro del 27 luglio ’93 (nella foto). Condanne che la Cassazione rese poi definitive. A ideare, progettare e poi eseguire materialmente l’attentato milanese furono i vertici di Cosa Nostra di allora - da Totò Riina a Bernardo Provenzano fino, per l’appunto, a Matteo Messina Denaro – e poi Leoluca Bagarella, Antonino Mangano, i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano e gli altri fratelli Tommaso e Giovanni Formoso, e ancora Giuseppe Barranca, Salvatore Benigno e Giovanni Brusca, Cristoforo Cannella, Gioacchino Calabrò e Luigi Giacalone e infine Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo e Vittorio Tutino. E poi il pentito Gaspare Spatuzza, che aggiunse particolari portando a nuovi processi con condanne per Francesco Tagliavia e Cosimo D’Amato. Tanti colpevoli, tanti condannati, ma qualche zona d’ombra in più (rispetto agli attentati di Roma e Firenze) per la strage milanese tuttora rimane. Proprio sull’identità dei basisti, e in fondo anche sulla ragione (mai chiarita) per la quale venne scelto come obiettivo il Pac di via Palestro, certo non dei più conosciuti tra i simboli della cultura milanese.

A proposito di basisti, la parola del pentito Spatuzza - anche se ritenuto attendibile - da sola non fu sufficiente per arrivare a una condanna nell’ultimo processo celebrato a Milano su via Palestro nel 2015, quello contro Marcello Tutino. I giudici della Corte d’assise, nelle motivazioni del verdetto (poi confermato in via definitiva) con cui assolsero a sorpresa il presunto basista della strage, scrissero che nessuno tra gli elementi forniti circa il coinvolgimento di Tutino nell’attentato e alla base dell’impianto accusatorio assumeva "un valore decisivo di riscontro" a carico dell’imputato. Assolto Tutino, resta comunque aperto,pur a distanza di trent’anni, il dilemma sui basisti. Un anno fa la procura di Firenze indagò con l’accusa di aver guidato e parcheggiato l’autobomba una donna bergamasca, Rosa Belotti. Sembra evidente, ad ogni modo, che quando la “cupola“ ordinò le stragi per colpire lo Stato nelle sue bellezze artistiche e architettoniche, i fratelli palermitani Graviano, che organizzarono l’attentato, debbano aver potuto contare sulla complicità di qualcuno che Milano la conosceva bene.M.Cons.