Nosate, sorpresa in chiesa: il santo patrono un levriero del ‘200

La leggenda dell’animale martire

La chiesa parrocchiale di San Guniforte (Studio Sally)

La chiesa parrocchiale di San Guniforte (Studio Sally)

Nosate (Milano), 21 gennaio 2018 - Scherza coi fanti e lascia stare i santi. Ma il proverbio difficilmente si presta alla chiesa parrocchiale di Nosate, minuscolo comune della brughiera di Malpensa, dove il patrono ha un nome poco comune: Guniforte. Nessuno dei bambini del paese di certo porta il suo nome che, d’altra parte, si scrive in modi differenti (anche Guinefort e Guniforto) e - leggenda vuole - forse non fu neppure umano, ma levriero.

Colpa di due storie che si fondono e si confondono nella notte dei tempi del cristianesimo. L’unico dato certo risale alla fine del XIX Secolo. Il parroco del 1886, don Eugenio Sironi, ottenne da Pavia alcune reliquie di Guniforto dalla chiesa di san Gervaso e Protaso. Il martire pavese, oriundo irlandese, col fratello Guiniboldo sarebbe fuggito dalla persecuzione passando dalla Germania con la famiglia. Due sorelle sarebbero state uccise, a Como, subì la stessa sorte il fratello. Solo Guniforto giunse a Milano, dove a sua volta fu colpito da frecce: creduto morto e abbandonato perì nella casa di una cristiana che lo soccorse. Vicenda che le cronache attribuiscono al 350 dopo Cristo, sotto l’imperatore Teodosio. Ma la vicenda si complica. Perché, sorpresa, appaiono delle immagini di un san Guinefort che non ha sagoma umana, ma di levriero. E qui si innesta una seconda leggenda, quella di un cane da caccia vissuto nel XIII secolo, che fu oggetto di devozione popolare per i miracoli che accadevano sulla sua tomba, a Lione, oggetto di culto e pellegrinaggi.

La storia vuole che il cane fosse di guardia in un castello dove il cavaliere suo padrone viveva col figlio di pochi mesi. Tornando un giorno dalla caccia, il cavaliere trovò la stanza a soqquadro, con la culla rovesciata, mentre il cane aveva le zanne insanguinate. Del bambino, ancora in fasce, nessuna traccia. Credendo che il fido levriero lo avesse sbranato, il nobile lo uccise con la sua spada. Poco dopo sentì il bambino piangere e lo trovò illeso sotto la culla, assieme a una vipera uccisa dal cane. Una volta scoperto l’errore, il cavaliere seppellì il cane con tutti gli onori. In breve tempo si creò un fenomeno insolito: sul tumulo numerosi ex voto venivano portati al santo-cane in ringraziamento delle grazie che, secondo i popolani, compiva, soprattutto per la tutela dei bambini. Col tempo, la sua figura fu assimilata a quella di un santo umano, superando gli ostacoli – allora assai meno rigidi – della canonizzazione. L’iconografia lo ritrae come un soldato, protettore dei bambini, dipinto con muso di levriero. Un’immagine che si riallaccia a culti ancora più antichi, di origine pagana. In araldica il levriero è usato spesso per coloro che hanno compiuto imprese militari con pia dedizione, poiché la simbologia lo identifica con la costanza nel perseguire un’impresa. Due santi, due leggende, due dispute tra gli storici per una sola devozione.