Legnanesi, il nuovo Giuàn Colombo è un giovin attore

Lorenzo Cordara, 42 anni, di Abbiategrasso vestirà i panni del marito della Teresa sostituendo nel ruolo, dopo 41 anni, Luigi Campisi

Lorenzo Cordara

Lorenzo Cordara

Legnano, 23 ottobre 2019 -  «Visto che la Mabilia non si sbriga a trovarsi un fidanzato, si è data da fare la Teresa e si è trovata un toy boy». Antonio Provasio, sui palcoscenici di tutta Italia la “Teresa” de I Legnanesi, commenta con ironia la scelta del nuovo “Giovanni”, la maschera che intepreta suo marito sulle scene. A sostituire Luigi Campisi, che ha ricoperto questo ruolo per ben 41 anni dal 1978 sino a poche settimane fa, è Lorenzo Cordara. Il 42enne attore di Abbiategrasso da qualche giorno sta indossando i panni di Giovanni Colombo e il 6 novembre vivrà il primo esordio sul palco con la “data zero” del nuovo spettacolo “Non ci resta che ridere” a Cassano Magnago.  

Lorenzo, il dato anagrafico è ciò che balza subito all’occhio: Enrico Dalceri, che sul palco interpreta sua figlia Mabilia, ha 57 anni così come Antonio Provasio, che è sua moglie Teresa. Lei ne ha 42. Crede che si sentirà questa differenza? «Siamo in teatro, permettiamoci di sognare. E poi, neanch’io sono proprio di primo pelo: ho un’esperienza di vent’anni di recitazione. Il teatro ti permette di fare ciò che vuoi, sta poi all’attore renderlo possibile».

Per la prima volta, con lei il “Giuàn” de I Legnanesi è subito un attore professionista. I suoi precedessori, lo sono diventati. Può rappresentare una svolta per la compagnia? «No, è un discorso di esperienza. Ogni attore deve mettere in ciò che fa cuore, coraggio, curiosità e soprattutto concentrazione. Entro in punta di piedi, cercando di recepire il più possibile e di dare il massimo».

Il confronto con Luigi Campisi, il suo precedessore, sarà inevitabile... «Certo, il confronto è naturale. Però la maschera è quella di Giovanni Colombo ed è normale che ci siano degli avvicendamenti. Ogni “nuovo Giuàn” deve dare la propria interpretazione. I vestiti sono sempre gli stessi, ogni attore deve imparare a starci comodo. Servirà pazienza, bisognerà provarlo sul palco».

La chiamata de I Legnanesi le ha fatto un po’ tremare le ginocchia? «I miei nonni e i miei genitori parlavano dialetto. Pensi l’ironia, mio nonno si chiamava proprio Giovanni. A Natale era tradizione per noi in famiglia vedere uno spettacolo de i Legnanesi. Per questo è un onore, ma c’è anche un pizzico di paura. Però non sono del tutto nuovo a questa compagnia: in passato ho fatto qualche comparsata sul palco con loro. Ma non avevo un personaggio, ero un figurante generico».

Insomma, è come un contradaiolo legnanese che diventa capitano al Palio... «Esattamente (ride, ndr ). Stare sul palco sarà un’emozione unica, per adesso il mio personaggio è come un bambino che deve nascere, che deve essere plasmato. Antonio (Provasio, ndr ) è un grande regista e con l’aiuto suo e del gruppo riuscirò a integrarmi al meglio. Anche perché ormai il successo de I Legnanesi è tale che fermarsi non si può».

Facciamo un passo indietro: cosa è per lei il teatro? «Non è un lavoro, è la mia vita. Ho stravolto proprio la mia vita per il teatro. Nasco orafo e devo ringraziare i miei genitori che quando avevo 22-23 anni hanno creduto in me e mi hanno dato la possibilità di partecipare alla mia pri ma tournée. Da lì ho lavorato con Zelig e Colorado, poi ho fatto diverse tournée con varie compagnie. Insomma, grazie alla mia famiglia questo è diventato il mio lavoro».