Cerro Maggiore, rogo fatale alle due sorelle Agrati: la nuova perizia inchioda il fratello

Era rimasto l’unico imputato dell’incendio dell’appartamento dove morirono tra le fiamme Carla e Maria. Diversi gli inneschi: adesso Giuseppe rischia di essere condannato per duplice omicidio con tutte le aggravanti

I vigili del fuoco in azione per il rogo dell’appartamento di via Roma

I vigili del fuoco in azione per il rogo dell’appartamento di via Roma

Cerro Maggiore (Varese) - Era rimasto l’unico imputato della vicenda legata al rogo dell’appartamento di via Roma, dove morirono fra le fiamme le sue due sorelle. Adesso per Giuseppe Agrati rischia di essere condannato per duplice omicidio con tutte le aggravanti del caso. Nell’ultima udienza del processo a suo carico sono stati presentati i risultati della nuova perizia disposta dalla procura che inchioda l’imputato alle proprie responsabilità. Il tutto in relazione alle dinamiche dell’incendio scoppiato nella notte fra il 12 e il 13 aprile 2015 nell’abitazione dei signori Agrati sita in Cerro Maggiore, via Roma 33, fu caratterizzato da diversi inneschi, quasi contemporanei sia al piano terra sia al piano primo dell’abitazione dove erano presenti entrambe le sorelle. In conclusione l’incendio stesso non può considerarsi un evento accidentale. La super perizia disposta dalla Procura di Busto Arsizio chiude il cerchio accusatorio nei confronti del fratello delle due vittime, unico sopravvissuto al rogo e unica persona riuscita a fuggire dall’appartamento devastato dalle fiamme.

Sarebbe quindi lui ad aver ucciso in maniera consapevole studiando il sistema per far sparire le tracce, Carla e Maria. La prima donna fu trovata distesa in bagno senza vita, asfissiata dal fumo. La seconda carbonizzata sul proprio letto nella sua stanza. L’uomo, che è in carcere a Busto Arsizio ormai dal novembre 2019 con l’accusa di duplice omicidio aggravato e incendio, si è sempre proclamato innocente. Adesso lo inchiodano le oltre 800 pagine nelle quali viene scritta la verità sugli inneschi all’interno della palazzina di via Roma, che ancora oggi rimane completamente annerita dall’incendio al suo interno per volere della stessa procura di Milano che sul caso aveva avocato a sé le indagini dopo che la magistratura bustocca stava archiviando il caso.

La perizia della procura è stata disposta dopo aver acquisito quella dell’accusa e quella della difesa spiegando che il rogo non "fu accidentale" e ci furono "diversi inneschi", come una trappola di fuoco ben architettata per cancellare anche le tracce. Dal canto suo nell’ultima udienza Giuseppe Agrati ha spiegato: "Non sono stato io, io sono innocente. Non avevo nessun movente. Amavo le mie sorelle, in particolare Maria. Quelle contro di me, nella perizia, sono ipotesi che non condivido. In casa c’erano anche vernici ma la loro presenza non è stata presa in considerazione. La mia vita è finita. Non temo l’ergastolo ma di morire con queste infamie sulla testa". A chiedere alla procura di Milano di riaprire il caso era stato il nipote delle vittime, puntando subito il dito sullo zio, considerato dall’uomo il vero responsabile dell’accaduto per questioni ereditarie.