Silvia, la ricercatrice bustese che ha scelto il Canada

Dopo la laurea e un periodo trascorso all'istituto di ricerche farmacologiche Negri di Milano, la giovane donna è entrata a far parte del team di ricerca dell'università Laval del Québec che ha dichiarato guerra alla Sla

Silvia Pozzi si è trasferita nella provincia francofona del Québec

Silvia Pozzi si è trasferita nella provincia francofona del Québec

Busto Garolfo (Milano), 23 gennaio 2020 - Parla italiano e viene da Busto Garolfo la possibile cura alla sclerosi laterale amiotrofica (Sla). La terribile malattia neurodegenerativa che colpisce i motoneuroni portando la persona alla completa paralisi, ha ora un’antagonista, un anticorpo guerriero capace di ridurre il processo degenerativo delle cellule. A firmare la scoperta insieme al professor Jean-Pierre Julien del Cervo Brain Research Centre  e Université Laval di Québec City, Silvia Pozzi classe 1981 nata a Busto Garolfo e trasferitasi in Canada come ricercatrice. «Dopo la laurea all’università di Milano Bicocca in biotecnologie – spiega Silvia - ho conseguito un dottorato con la Open University di Londra, nel 2013 il trasferimento in Canada per lavorare ad un progetto quinquennale di post dottorato concluso lo scorso anno con la scoperta dell’anticorpo che si lega alla molecola Tdp-43».

Silvia Pozzi, quali sono i risvolti pratici di questa sua scoperta?

«La Sla è una patologia che si manifesta in età adulta, L'anticorpo che abbiamo prodotto è capace di legarsi alla Top-43 eliminando alcune cause che inducono la progressione della malattia»

Quando si potrà parlare di una cura?

«Per il momento siamo ancora nella fase di sperimentazione su animali. La strada è ancora lunga, credo che ci vorrà ancora qualche anno per arrivare alla sperimentazione umana, la via però è tracciata».

La scoperta è stata fatta in un’università canadese, l’Italia non è riuscita ad offrire analoghe possibilità di sviluppo.

«Ho lavorato per l’istituto Mario Negri qualche anno, ma i fondi per la ricerca nel nostro Paese sono sempre scarsi. In Canada la situazione è molto diversa, fare questo tipo di ricerca è molto costoso, qui le risorse economiche non mancano e la ricerca soprattutto in settori come questo è molto sostenuta. Non sarei comunque rimasta in Italia perché ritengo che una ricercatrice non debba rimanere sempre nello stesso ambito. Viaggiare permette di acquisire nuove conoscenze e metodologie più innovative».

Le manca l’Italia?

«Mi mancano gli affetti familiari, con mio marito Filippo anch’egli ricercatore e nato a Busto Garolfo abbiamo portato un po’ di calore italiano qui dove la temperatura scende anche a meno venti gradi centigradi in pieno inverno».

Come vede il futuro della ricerca in Italia?

«Il problema rimane quello di sempre, la mancanza di fondi, e questo spinge molti giovani a trovare altrove lo spazio per i loro studi».

Nel Québec ha incontrato altri italiani?

«Certamente, al centro dove lavoro studiano una decina di italiani, con loro abbiamo creato legami anche fuori dai laboratori. Noi qui siamo immigrati, la gente del posto ci ha però accolto benissimo, con noi lavorano tanti stranieri provenienti da ogni parte del mondo».

Qualcuno dice che questa scoperta potrebbe valere un Nobel allo staff...

«Non mi pongo la questione, il mio Nobel personale è sapere che un giorno questa molecola che abbiamo brevettato salverà la vita di qualcuno».

Tornerà mai in Italia?

«Difficile a dirsi, rimane sempre il mio desiderio ma al momento le condizioni non lo permettono».