I ricordi della vita di cascina: "A pancia vuota, ma eravamo felici"

Quarant'anni dopo «L’albero degli zoccoli», il film capolavoro di Ermanno Olmi girato nell'Abbiatense

Il film "L'albero degli zoccoli"

Il film "L'albero degli zoccoli"

Robecchetto con Induno (Milano), 9 marzo 2018 - Ricorre quest’anno il quarantesimo anniversario della vittoria della Palma d’oro al Festival di Cannes del film «L’albero degli zoccoli» di Ermanno Olmi, regista che ha saputo magistralmente interpretare la vita e la cultura contadina di un mondo che stava lentamente scomparendo. Il film è stato ambientato nella campagna bergamasca, che ha avuto il pregio di mantenere negli anni la stessa caratteristica rurale di inizio secolo, negli anni in cui era ambientato il film. Anni in cui - anche nel Milanese - la gente abitava soprattutto nelle cascine, al soldo del proprietario o affittuario terriero che demandava la gestione delle proprietà ai fattori. I contadini in cambio di un alloggio dovevano lavorare per il fattore,

Un vecchio cortile
Un vecchio cortile
che lasciava loro parte delle produzioni campestri, necessarie per vivere.

«Ma non bastava mai» racconta Giuseppe Bugini di Malvaglio. Aveva tre mesi quando la famiglia - i genitori e otto figli - fuggì di notte dalla Bergamasca, dove c’era miseria, per andare ad abitare ad Induno, la grossa cascina alla periferia sud di Malvaglio che sino al 1856 era Comune. «Il film di Olmi racconta molto bene quello che allora era la vita in cascina. Ad Induno, nei primi anni Cinquanta, abitavamo in 360, tutti salariati che lavoravano nei campi». Nel film di Olmi Batistì viene cacciato dal fattore perché di notte aveva tagliato un albero di pioppo per fare gli zoccoli al figlio Mènec: gli sarebbero serviti il giorno seguente per andare a scuola. «A me è capitata una cosa simile - ricorda Bugini -. In casa avevamo dei conigli. Un giorno andai sull’argine del canale di irrigazione a raccogliere l’erba. Il fattore mi vide, la prese e la gettò per terra, dicendomi che non potevo prenderla, perché non era mia».

Però la vita in cascina era davvero bella. «C’era più umanità, si era tutti amici. Le porte di casa erano sempre aperte, anche quando una persona usciva non c’era l’assillo di chiudere a chiave l’abitazione. Alla sera il portone di accesso ad Induno veniva

Ermanno Olmi
Ermanno Olmi
chiuso, tanto quand’era buio tutti erano già a casa» spiega. «Nelle stagioni calde alla sera si mangiava tutti assieme in cortile, ognuno con la propria scodella. Non eravamo gelosi anche se c’era chi aveva qualcosa in più da mangiare, ma era comunque poco per tutti. Il pane lo si faceva una volta alla settimana - racconta -: c’era un forno in un cortile di Induno che veniva acceso una volta sola alla settimana. Ogni famiglia cuoceva una quindicina di pani, che sarebbero serviti appunto sino alla prossima cottura». «La pancia era comunque sempre vuota. Noi ragazzi, d’estate andavamo a rubare la frutta sugli alberi nelle campagne. Mi ricordo quando andai in una cascina a fare scorta di frutta. La proprietaria mi vide e mi seguì: io correvo e lei dietro con la bicicletta. Ad un certo punto mi nascosi e con un legno la feci cadere. Non la passai liscia… perché venne a casa a raccontare tutto ai miei genitori». Una storia, quella di Olmi, testimone di un tempo che fu. «Un tempo che rimpiangiamo…» dice Bugini.