Lecco si ripensa nel futuro

Un successo la serata sulla ricerca di identità di una città in rapida trasformazione

Un momento della serata

Un momento della serata

 Lecco, 8 ottobre 2016 - «Buona vita, iron town». Si è conclusa con il saluto-tributo di Davide Van De Sfroos la bella serata in cui Lecco e i suoi cittadini si sono voluti interrogare su quel che sarà della città del ferro. Nell’incontro organizzato dalla diocesi ambrosiana sulla scorta della riuscita esperienza milanese dei «Dialoghi di buona vita: cosa fa una città?» ne è uscita una serata a metà tra la seduta psicanalitica collettiva e il work shop nel tentativo capire dove punta la prua di una città in rapidissima trasformazione «che solo dieci anni faceva progetti per portare qui immigrati e ora deve fare i conti con la disoccupazione», come ha ricordato il sindaco Virginio Brivio il quale ha aggiunto che «serve soprattutto un’anima per vincere le sfide del futuro». Perché la Lecco delle fabbriche, della piena occupazione non c’è più «e quel mondo non torna più», ha ricordato Riccardo Bonacina, direttore del settimanale «Vita» e abile regista della serata.

«Serve un nuovo posizionamento della nostra comunità - ha ricordato il presidente della Camera di Commercio, Daniele Riva - sospesa tra un non più e un non ancora». Lecco oggi sta in una Terra di Mezzo: non può più vivere di ricordi ma si deve confrontare con una città «meticcia» dove gli immigrati sono ormai il 10% della popolazione e al campus universitario «dove si crea il capitale umano del futuro studiano ragazzi che vengono da India, Iran e Turchia», ha ricordato il prorettore Marco Bocciolone. Serve proiettarsi in un mondo che si è fatto globale interrogandosi comunque «sul senso del vivere», come ha ricordato l'arcivescovo Angelo Scola in un’intervista proiettata nell’auditorium stracolmo come non mai. In che modo? Scommettendo sul turismo ma vivendo senza seguire quelli che il filosofo Silvano Petrosino ha chiamato «i falsi idoli, quelli che creano città dell’effimero come Los Angeles e Dubai» dove dietro allo scintillio delle luci «c’è una massa povera che non ha progetti di vita».

Lecco al contrario ha radice antiche: borgo contadino al tempo del Manzoni (letto da Luca Radaelli), si trasforma in città del ferro e resta città industriosa prima ancora che industriale. L’orgogliodel «fare» e del «saper fare» traspare tutto nell’intervento di Plino Agostoni, vice presidente della Icam, che ricorda «sì gli scioperi e la dismissione delle vecchie fabbriche ma anche le tante aziende che hanno saputo guardare al mondo, si sono espanse e oggi resistono perché hanno anche saputo puntare su un’economia che va al passo con la comunità». Comunità significano persone e luoghi «possibilmente belli così’ si favoriscono le relazioni», ha consigliato l’architetto Giulio Ceppi. Chiudono le note di De Sfroos e le parole di speranza di Aldo Bonomi: «Lecco è resiliente, si piega ma non si spezza».