Usura e rifiuti: vent’anni al boss Vallelonga

L’indagine della Finanza di Lecco ha portato alla condanna del capo della ’ndrangheta inchiodato per associazione mafiosa ed estorsione

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Vent’anni di condanna con rito abbreviato per Cosimo Vallelonga, 72enne boss della ‘ndrangheta lecchese imputato per associazione di tipo mafiosa, usura, estorsione e altri reati di tipo ambientale nel processo nato dall’inchiesta della Dda di Milano “Cardine-Metal Money”. Lo ha deciso il gup Manuela Cannavale che ha inflitto una pena più alta rispetto ai 17 anni e 2 mesi richiesti dal pm Paola Biondolillo. Insieme a Vallelonga sono stati condannati per mafia anche Vincenzo Marchio a 12 anni (il pm ne aveva chiesti 11) e il braccio destro del boss Paolo Valsecchi a 8 anni, sei mesi e 20 giorni (il pm aveva chiesto 10 anni e 8 mesi).

Dei restanti 15 destinatari della misura cautelare eseguita nel febbraio scorso, sette sono stati condannati a piene più lievi in abbreviato, mentre gli altri otto hanno patteggiato. Un risarcimento di cinque mila euro è stato infine riconosciuto a WikiMafia, unica parte civile costituitasi al processo e rappresentata dall’avvocato Marco Griguolo. Stando alle indagini delle Fiamme Gialle di Lecco in collaborazione con la Squadra mobile e il Gico della Guardia di Finanza di Milano, dal suo negozio “Arredo mania” a La Valletta Brianza (Lecco) Vallelonga, già condannato per associazione mafiosa nell’operazione “I fiori della notte di San Vito” negli anni Novanta e per la maxi indagine “Infinito” del 2010, avrebbe ricevuto altri affiliati di ‘ndrangheta con i quali avrebbe gestito un cospicuo giro di usura. Insieme a Marchio, figlio dello storico boss Pierino, il 72enne avrebbe costituito una società per il recupero di metalli e truffando sui formulari li avrebbe smaltiti illecitamente. In questo modo, anche attraverso diverse società di comodo, semplici “cartiere“ per produrre false fatture, avrebbe messo le mani su 7 milioni di euro.

Significativa una sua incursione e nella ristorazione, con l’idea di aprire un locale nuovo nuovo ("Fantastico, mi sento già lì a grigliare" esultava al telefono uno dei suoi uomini). Ma certo "il pipistrello" (uno dei soprannomi del boss) sembra aver dato il meglio, stando agli investigatori, quando c’era da prestare denaro a strozzo e quando quel denaro andava recuperato. Spesso per l’incombenza si faceva aiutare - stando all’accusa - da uno specialista del ramo come Valsecchi, oltre che dal solito Marchio. Ad una donna che si era fatta prestare 22 mila euro per due delicate operazioni chirurgiche cui doveva sottoporsi la figlia, ne chiese 50 mila da restituire entro i successivi due mesi. Ma come garanzia, decise di farsi consegnare non meglio precisate (dal verbale) "opere d’arte".