Santa Maria Hoè, omicidio di padre Tentorio: tutta la verità

Secondo il procuratore che sta seguendo il caso nelle Filippine i mandanti sono ufficiali dell’esercito e un gruppo paramilitare

A destra padre Fausto Tentorio

A destra padre Fausto Tentorio

Santa Maria Hoe' (Lecco), 7 aprile 2018 - Militari e paramilitari insieme per sbarazzarsi di un prete scomodo, ultimo baluardo di uguaglianza e giustizia per i tribali in quell’angolo di Filippine lontano dalla capitale, in grado da solo di stoppare le mire di latifondisti, sfruttatori terrieri e politici corrotti. A ordine l’assassinio di Padre Fausto Tentorio, il missionario del Pime di 59 anni originario di Santa Maria Hoè che la mattina del 17 ottobre 2011 è stato crivellato da dieci colpi mentre usciva dalla sua parrocchia di Arakan sull’isola di Mindanao, sono stati sia gli ufficiali dell’Esercito regolare, sia i vertici del Magahat Bagani force, gruppo paramilitare anticomunista, che con i loro uomini proprio in concomitanza con l’agguato al sacerdote brianzolo stavano compiendo un rastrellamento nella scuola elementare della cittadina.

A rivelarlo, come riportato sul giornale Inquirer di Manila, è stato il procuratore generale aggiunto Peter Ong del National bureau of investigation che si sta occupando del caso insieme ad un pool di altri sei colleghi. Ai due ufficiali dell’Esercito già rinviati a giudizio, che sono il colonnello dell’esercito Joven Gonzales e il maggiore Mark Espiritu, si aggiungono così altri denunciati: Roberto Intar, Jan Corbala conosciutp anche come Johnny Corbala, Jhon Corbala, Jun Karbala, Kumander Iring, Nene Durado nome di battaglia Nene Dorado, Kaing Labi, Joseph Basol, Edgar Enoc, Romulo Tapgos, William Buenaflor, oltre che i due fratelli Jimmy e Robert Ato, i presunti autori materiali dell’omicidio che hanno premuto il grilletto delle loro pistole esplodendo proiettili avvelenati per essere certi che il religioso morisse.

«Devono tutti rispondere di omicidio – spiega il procuratore -. Trenta testimoni si sono offerti spontaneamente di deporre contro di loro». Per il timore di ritorsioni i testimoni vivono ora sotto scorta e sono stati inseriti in un programma di protezione. La situazione lì è infatti molto complessa ed è facile che qualcuno finisca vittima del fuoco incrociato di militari, paramilitari, combattenti rivoluzionari dell’Npa, il Nuovo esercito popolare e di estremisti dell’Isis e del Fronte islamico di liberazione che controllano parte del territorio. Sono stati nel contempo ritirate per mancanza di prove le accuse a carico di José Sultan e Dima Sampulna, due fratelli inizialmente coinvolti nelle indagini.