Merate, famiglie sfrattate: "Le nostre case vanno all'asta"

Continua il viaggio fra i condomini di via degli Alpini a Merate che dovranno lasciare la loro casa perché l'immobiliare è fallita

Carlo Celi, padre di due figli. E' uno degli inquilini che il 16 dovranno lasciare

Carlo Celi, padre di due figli. E' uno degli inquilini che il 16 dovranno lasciare

Merate (Lecco), 11 aprile 2018 - In quell'appartamento ci ha investito soldi, lavoro e tempo. Quando Carlo Celi, 50 anni, padre di due figli di cui una minorenni, ha stipulato il contratto di affitto quell’abitazione al piano terra dell’imponente complesso residenziale “I Pioppi” di via degli Alpini a Merate con un angolo di giardino era a rustico: quattro pareti, qualche muro divisorio e nulla di più. È stato lui a sistemarla e renderla agibile, a scomputo di trenta mensilità del canone di locazione, regolarmente registrato e depositato all’Agenzia delle entrare nel 2016.

I due anni e mezzo non sono ancora lontanamente trascorsi, eppure lunedì prossimo rischia di essere letteralmente sbattuto a forza fuori casa insieme a moglie, figli e cane, nonostante, oltre ad aver anticipato i soldi in conto lavori, non abbia neppure mai sgarrato sul pagamento delle spese condominiali. I proprietari dell’immobiliare hanno infatti portato i libri in tribunale, la società è fallita e il giudice che si sta occupando del crack ha ordinato lo sgombero per piazzare all’asta il «suo» appartamento, insieme ad altri 25 e 15 box. «Siamo stati di fatto truffati, non potevamo sapere delle procedure giudiziarie in corso, abbiamo svolto tutto regolarmente, non siamo abusivi, eppure a pagarla ora siamo noi – racconta –. Non chiedo favori, né regali, semplicemente di valutare altre soluzioni allo sgombero, magari con un contratto di affitto a riscatto o la possibilità di comperare io direttamente l’abitazione. Non abbiamo un altro luogo dove andare, vorrei che almeno chi di dovere mi dia una mano a trovare un altro posto».

Nella medesima situazione si trovano una trentina di persone, alcune delle quali non sono nelle condizioni di lasciarsi mettere alla porta e sperano quindi che il termine del 16 aprile venga posticipato. Altri invece hanno preferito andarsene, come l’avvocato Alfredo Casaletto, 39 anni, consigliere a Palazzo Tettamanti, che lì ha affittato il proprio ufficio legale e che sta assistendo pure alcuni inquilini, nonostante, a conti fatti, ci abbia rimesso quasi 10mila euro. «Non posso permettermi di lavorare in un ambiente senza garanzie – spiega -. Comprendo tuttavia e sostengo coloro che non intendono andarsene per il semplice motivo che non sanno dove. Si tratta di una vicenda complessa ma soprattutto paradossale, specchio del nostro Paese, le cui vittime sono vittime due volte: la prima volta del fallimento e della truffa di chi ci ha affittato i locali, la seconda di un sistema normativo che punisce chi non ha nessuna responsabilità».