"Mi sono rotta una caviglia, non posso lavorare". Ma la dottoressa è ai domiciliari

Reclutata con una società esterna da Asst prestava servizio al Pronto Soccorso del “Leopoldo Mandic” di Merate. Diverse le accuse nei suoi confronti

Il pronto soccorso di Merate

Il pronto soccorso di Merate

Merate (Lecco) - "Mi sono rotta una caviglia, non posso lavorare". La dottoressa invece è ai domiciliari con le accuse di corruzione, falso, furto, introduzione di un telefonino e spaccio di medicinali e hashish nel carcere di Ferrara, dove ha prestato servizio per 8 mesi. A non coprire i turni di guardia al Pronto soccorso dell’ospedale di Merate con il pretesto di un infortunio da quasi un mese, mentre in realtà non può allontanarsi dal domicilio perché agli arresti domiciliari, è la dottoressa C.S., 54 anni, specialista in medicina estetica. La libero professionista è una dei camici bianchi reclutati tramite società esterne per dare una mano ai pochi medici strutturati di ruolo dell’Asst di Lecco rimasti, che da soli non possono garantire l’apertura continuativa e l’assistenza ai pazienti del reparto di emergenza del San Leopoldo Mandic.

«Non è vero niente", assicura lei ai colleghi, ai quali ribadisce che si rimetterà presto all’opera dopo che si è sparsa la voce che non si è fatta male ma che è reclusa in casa. Secondo gli agenti della Polizia Penitenziaria di Ferrara e del Nucleo investigativo regionale emiliano, coordinati dal pm Ciro Alberto Savino, avrebbe firmato certificati falsi per dimostrare che alcuni detenuti non potevano sopportare il regime carcerario in cambio di un prestito di 200mila euro. Li avrebbe pure istruiti su come simulare malori o istinti suicidiari, somministrando benzodiazepine e antiepilettici rubati. Inoltre avrebbe introdotto dietro le sbarre un L8Star, che è un microcelluare che si può nascondere facilmente, provato a consegnarne un secondo e tentato di portare oltre le sbarre una partita di hashish.

Tra i reclusi che avrebbe aiutato ci sarebbe pure un ex boss della camorra che stava pianificando l’evasione. Non è la prima volta che la 54enne viene attenzionata da investigatori e inquirenti: a marzo le era stato notificato un provvedimento poi decaduto per turbativa d’asta e nel 2020 è stata condannata dai giudici della Corte d’appello di Bolzano per una truffa milionaria. Le sue disavventure giudiziarie non hanno nulla a che fare con l’ospedale di Merate, sebbene i colleghi che dovrebbe aiutare sono obbligati agli straordinari per coprire i suoi turni, non perché infortunata, ma perché ai domiciliarti.