2010-02-12
di ANDREA MORLEO
— LECCO —
È INIZIATO con una serie di deposizioni dei testi. Tra queste anche quella di una delle due parti offese, Salvatore Carpino, che però ha negato di essere stato vittima di un agguato per ucciderlo. Ieri ha preso il via, nell’aula al primo piano del Palazzo di giustizia cittadino, il processo a carico di quattro imputati: Filippo Bubbo di Galbiate (difeso dall’avvocato calabrese Francesco Laratta di Crotone), Raffaele Bubbo di Petronà (difeso dall’avvocato Pietro Pittari di Catanzaro), Federico Pettinato di Galbiate (Stefano Pelizzari di Lecco e Guatoli) e Carlo Mazzei di Calolziocorte (difeso dall’avvocato Zaira Cicoria di Milano).

I QUATTRO sono accusati di tentato omicidio. I fatti - é proprio il caso di dirlo - risalgono alla notte dei tempi. Era il 27 novembre 1993 quando, secondo gli atti contenuti nel fascicolo, i quattro tentarono di uccidere Alfredo Covelli e Salvatore Carpino. Per il pm Rosa Valotta (che ha ereditato il fascicolo dal collega Luca Masini, trasferitosi alla Procura di Livorno), quel giorno Mazzei attirò i due con una scusa: convinse Covelli e Carpino a seguirlo a Trescano, una frazione boschiva e appartata al confine tra i Comuni di Dolzago e Oggiono.

LA TRAPPOLA scattò qui ma il tentativo di omicidio fallì tanto che, si legge nel fascicolo, i due scampati all’agguato si rifugiarono nella vicina villetta di proprietà di Raffaele Straniero. L’ex sindaco di Oggiono ha confermato ieri in aula che i due si erano rifugiati nella sua casa, raccontando prima di essere rimasti in panne con l’auto ma poi ammettendo di essere scampati a un omicidio. Il procedimento si é aperto a distanza di così tanto tempo perché solo ora le prove assunte dall’accusa sono state oggetto di trattazione nel procedimento Oversize, il maxi-processo che ha visto condannati in primo grado (nell’aula bunker di Milano) gli appartenenti al clan della ’ndrangheta lecchese. Il tentativo di uccisione di Covelli e Carpino é da inserire proprio in questo ambito, una faida tra cosche calabresi rivali: da una parte i Bubbo e dall’altra i Carpino. Il centro della lotta, stando alla lunga deposizione del maresciallo Paolo Chiandotto (in quegli anni inquirente della Compagnia dei carabinieri di Lecco), sarebbe da ricondursi a Petronà. Chiandotto ha raccontato in aula come le indagini fossero state condotte insieme ai colleghi di Catanzaro per risalire ai rapporti tra le famiglie.

LA FAIDA DI PETRONÀ ebbe inizio il 19 agosto 1992 con l’uccisione di Gaetano Elia. Nello stesso agguato rimase ferito Giuseppe Colosimo, trasferito in ambulanza per curarsi a Bellano. Uno strascico della faida si consumò anche a Lecco, dove le famiglie il pare lottassero per gestire il mercato degli stupefacenti. Lo stesso Colosimo sparì per non essere poi più ritrovato. Sempre a Lecco, il 23 ottobre del ’93, fu ferito in via Torri Tarelli Vittorio Tallarico, zio dello stesso Colosimo e di Gaetano Elia. Il processo é stato aggiornato al 29 marzo prossimo.