2009-09-27
di GIULIA BONEZZI
MILANO
METTERE A SISTEMA il gas e Giuseppe Tornatore, orgoglio sannita e milanesità garantita «al 100%», le canzoni di Van Morrison e i problemi delle imprese milanesi: cose che riescono solo ad Alberto Meomartini. Numero uno di Snam Rete Gas, da tre mesi presidente di Assolombarda, più del curriculum lo racconta lufficio di via Pantano. Dove irrompe, poco prima di infilare i panni del padrone di casa al Festival dellambiente, sfilando gli ammiratissimi occhiali con le stanghette giallo sole («Gli unici che non si rompono...», si schermisce): «Stamattina ho risentito un disco di 43 anni fa. Pet Sounds, dei Beach Boys». Alle sue spalle un quadro di Emilio Tadini che, alla fine degli anni Novanta, trascinò in Siberia, coinvolgendo anche il regista di Nuovo cinema Paradiso in un viaggio allorigine del gas che arriva in Italia. A Novij Urengoi, che dà il titolo al libro fotografico frutto dellimpresa.
Il tema del festival è «Energy for life», energia per la vita. Su quali fonti rinnovabili dovrebbe puntare Milano?
«Non cè una soluzione unica, la ricetta è un mix tra sviluppo di tecnologie innovative e risparmio e miglioramento dellefficienza energetica, anche attraverso incentivi. Ormai è diffusa la consapevolezza che la strada è quella delledilizia sostenibile, del passaggio dal trasporto privato al trasporto pubblico...».
A proposito, cosa ne pensa dellEcopass?
«Limportante è che ci si sia posti il problema, ora bisognerà riflettere, ma si risponde solo quando si comincia a percepire che esiste».
Da sempre insiste sui legami tra scuola e lavoro. Un gap di cui si discute da tempo immemore, in Italia.
«La strada è una: fare. È un fatto che le aree che si sviluppano di più sono quelle in cui cè vicinanza tra cultura e impresa».
Cosa si può fare, in concreto?
«Per prima cosa insistere per rivalutare la formazione come un fatto importante e non elitario, che è la via per sviluppare la mobilità sociale che in Italia è bassa. Stiamo facendo una battaglia per riqualificare gli istituti tecnici e professionali, che sono stati la forza dello sviluppo industriale di questo Paese, e dai quali il sistema potrebbe assorbire dalle 150 mila ai 200 mila persone ogni anno».
Cosa è stato fatto?
«A Milano, negli ultimi anni, con luniversità sono cadute molte barriere».
Un esempio?
«Ogni brevetto che nasce al Politecnico arriva sul mercato, mentre tempo fa impiegava almeno qualche anno. Perché leconomia lombarda, dopo anni in cui era cresciuta meno delle aree europee concorrenti, di colpo nel 2006/2007 riprende a correre come non avveniva da decenni?».
Perché?
«Effetto di una ristrutturazione del sistema e di una capacità di innovazione formidabile, conseguenza della maggior vicinanza tra formazione e imprese. E questo ha consentito che la crisi ci colpisse in un momento di grande sviluppo».
La crisi è finita, finirà?
«Cè una ragionevole certezza che il peggio sia passato, quando arriverà il meglio è la domanda alla quale nessuno sa rispondere. Detto questo, si pone un problema».
Quale?
«A questa crisi, causata non da noi, non possiamo guardare come si guarda il barometro, aspettare le previsioni del tempo per capire quando finirà. Non possiamo sprecarla».
In che senso?
«Devessere un momento per riflettere su come continuare a strutturarci. Con le banche, ad esempio, se laccesso al credito è il problema a breve quello per cui occorre immaginare strade nuove è aiutare le piccole e medie imprese a rafforzarsi patrimonialmente. Questa è anche una crisi del pensiero».
Ossia?
«Chi non si conformava veniva emarginato. Invece il senso della capacità imprenditoriale è pensare in maniera diversa. I piccoli imprenditori a volte sono tanto rivoluzionari quanto lo fu Picasso nella pittura».
Proprio tra i piccoli la sua elezione ha creato qualche malumore: arriva da un grande gruppo ex statale e qualcuno ci ha visto lennesima imposizione di Roma su Milano...
«Non so come, visto che io sono nato, cresciuto, ho studiato e lavorato a Milano. Quanto allo statale, mi stupisce sentirne parlare nel 2009: uno dei grandi cambiamenti economici degli ultimi ventanni è la privatizzazione dei grandi gruppi ex pubblici come lEni. E senza i voti delle Pmi non sarebbero bastate dieci Eni a farmi eleggere. Ciò detto, la risposta come sempre la darà il mio lavoro».
Ci si aspetta un autunno nero, il caso di scuola della Innse ha spiazzato i sindacati. E gli imprenditori?
«Credo che il tessuto sociale abbia mostrato di tenere. Nei momenti di difficoltà si tende a unirsi».
Una protesta sulla gru fa più rumore di una foresta che cresce?
«Credo che la coesione sia più forte, al di là delle manifestazioni vistose. Limportante è dare risposte reali a problemi reali».
Lei quanto è milanese da zero a dieci?
«Mi sento milanese al 100%, ma non voglio perdere le mie radici. Madre milanese, padre originario del Sannio e a proposito, i sanniti sono stati ossi duri per Roma. Era di San Marco dei Cavoti».
Sembra molto orgoglioso.
«Mi piace vedere al supermercato le mele annurche, o il bacio, un torroncino inventato proprio a San Marco, che oggi si trova nelle pasticcerie di Milano o di New York. Quando sono stato eletto presidente di Assolombarda, un compaesano me ne ha mandati, con questo (un biglietto di congratulazioni scritto a mano). Mio padre era molto legato anche a Milano: ci è rimasto 35 anni senza tornare nel Sannio. Era un grande lavoratore».
Luniversità alla Bocconi, le superiori?
«Allo Zaccaria, dai padri Barnabiti. Ricordo la strada per andare a scuola, sotto i tigli: via della Commenda, piazzetta Umanitaria...».
Adesso dove abita?
«Porta Romana».
È il suo posto preferito in città?
«Veramente amo le periferie. Ho una passione per le foto, e le periferie mi affascinano. Se posso, andando in ufficio a San Donato faccio le strade periferiche, per passare tra i capannoni abbandonati. Oppure vado alla Bicocca o alla Bovisa, di mattina presto: il paesaggio ex industriale trasformato in università...».
Il suo primo ricordo di Milano.
«I giardini pubblici di Porta Venezia. Allora cera lo zoo, con mio fratello andavamo quasi ogni giorno a vedere gli animali, lelefante Bombay. E il primo latte pastorizzato, lo vendevano come fosse una bibita...».
La fama della sua passione per la musica la precede.
«Me lha trasmessa mia madre, che era di famiglia modesta ma conosceva la classica».
Dicono che sia un esperto.
«Beh, sulliPhone cè quel programma che riconosce le canzoni in 12 secondi...».
Lo usa?
«A volte faccio la gara... Certo mi piacerebbe avere molti anni di meno, ma la mia generazione è quella cresciuta coi Beatles e i Rolling Stones. Ho una passione per Van Morrison, ha accompagnato tutta la mia vita: ha iniziato quando avevo diciottanni e continua a cantare».
È vero che interroga i suoi collaboratori?
«(Ride) Diciamo che cerco di educarli. Per me la musica si divide in due: quella che ti emoziona e quella che no».
Qualche italiano la emoziona?
«Infinitamente Paolo Conte. Fiorella Mannoia, che è anche unamica. Consiglio caldamente gli Avion Travel. E poi Battiato...».
Onnivoro?
«Ma tremendo. Con un amico diamo giudizi trancianti, ispirandoci a Nick Hornby nel romanzo Alta fedeltà: abbiamo la mania delle classifiche».
Severi?
«Raramente ci scappa un 7. Ma dovrebbe valere in tutte le cose: io vorrei davvero che Milano fosse la città del merito».
È un lettore forte?
«Leggo molto, ogni tanto anche le grammatiche italiane, per purificarmi dallinglese economico».
Libro preferito?
«In assoluto Cuore di Tenebra, di Conrad».
Film?
«Il più bello degli ultimi anni, senza nessun dubbio, Le vite degli altri. Ma non ho ancora visto Baarìa...».
di GIULIA BONEZZI
MILANO
METTERE A SISTEMA il gas e Giuseppe Tornatore, orgoglio sannita e milanesità garantita «al 100%», le canzoni di Van Morrison e i problemi delle imprese milanesi: cose che riescono solo ad Alberto Meomartini. Numero uno di Snam Rete Gas, da tre mesi presidente di Assolombarda, più del curriculum lo racconta lufficio di via Pantano. Dove irrompe, poco prima di infilare i panni del padrone di casa al Festival dellambiente, sfilando gli ammiratissimi occhiali con le stanghette giallo sole («Gli unici che non si rompono...», si schermisce): «Stamattina ho risentito un disco di 43 anni fa. Pet Sounds, dei Beach Boys». Alle sue spalle un quadro di Emilio Tadini che, alla fine degli anni Novanta, trascinò in Siberia, coinvolgendo anche il regista di Nuovo cinema Paradiso in un viaggio allorigine del gas che arriva in Italia. A Novij Urengoi, che dà il titolo al libro fotografico frutto dellimpresa.
Il tema del festival è «Energy for life», energia per la vita. Su quali fonti rinnovabili dovrebbe puntare Milano?
«Non cè una soluzione unica, la ricetta è un mix tra sviluppo di tecnologie innovative e risparmio e miglioramento dellefficienza energetica, anche attraverso incentivi. Ormai è diffusa la consapevolezza che la strada è quella delledilizia sostenibile, del passaggio dal trasporto privato al trasporto pubblico...».
A proposito, cosa ne pensa dellEcopass?
«Limportante è che ci si sia posti il problema, ora bisognerà riflettere, ma si risponde solo quando si comincia a percepire che esiste».
Da sempre insiste sui legami tra scuola e lavoro. Un gap di cui si discute da tempo immemore, in Italia.
«La strada è una: fare. È un fatto che le aree che si sviluppano di più sono quelle in cui cè vicinanza tra cultura e impresa».
Cosa si può fare, in concreto?
«Per prima cosa insistere per rivalutare la formazione come un fatto importante e non elitario, che è la via per sviluppare la mobilità sociale che in Italia è bassa. Stiamo facendo una battaglia per riqualificare gli istituti tecnici e professionali, che sono stati la forza dello sviluppo industriale di questo Paese, e dai quali il sistema potrebbe assorbire dalle 150 mila ai 200 mila persone ogni anno».
Cosa è stato fatto?
«A Milano, negli ultimi anni, con luniversità sono cadute molte barriere».
Un esempio?
«Ogni brevetto che nasce al Politecnico arriva sul mercato, mentre tempo fa impiegava almeno qualche anno. Perché leconomia lombarda, dopo anni in cui era cresciuta meno delle aree europee concorrenti, di colpo nel 2006/2007 riprende a correre come non avveniva da decenni?».
Perché?
«Effetto di una ristrutturazione del sistema e di una capacità di innovazione formidabile, conseguenza della maggior vicinanza tra formazione e imprese. E questo ha consentito che la crisi ci colpisse in un momento di grande sviluppo».
La crisi è finita, finirà?
«Cè una ragionevole certezza che il peggio sia passato, quando arriverà il meglio è la domanda alla quale nessuno sa rispondere. Detto questo, si pone un problema».
Quale?
«A questa crisi, causata non da noi, non possiamo guardare come si guarda il barometro, aspettare le previsioni del tempo per capire quando finirà. Non possiamo sprecarla».
In che senso?
«Devessere un momento per riflettere su come continuare a strutturarci. Con le banche, ad esempio, se laccesso al credito è il problema a breve quello per cui occorre immaginare strade nuove è aiutare le piccole e medie imprese a rafforzarsi patrimonialmente. Questa è anche una crisi del pensiero».
Ossia?
«Chi non si conformava veniva emarginato. Invece il senso della capacità imprenditoriale è pensare in maniera diversa. I piccoli imprenditori a volte sono tanto rivoluzionari quanto lo fu Picasso nella pittura».
Proprio tra i piccoli la sua elezione ha creato qualche malumore: arriva da un grande gruppo ex statale e qualcuno ci ha visto lennesima imposizione di Roma su Milano...
«Non so come, visto che io sono nato, cresciuto, ho studiato e lavorato a Milano. Quanto allo statale, mi stupisce sentirne parlare nel 2009: uno dei grandi cambiamenti economici degli ultimi ventanni è la privatizzazione dei grandi gruppi ex pubblici come lEni. E senza i voti delle Pmi non sarebbero bastate dieci Eni a farmi eleggere. Ciò detto, la risposta come sempre la darà il mio lavoro».
Ci si aspetta un autunno nero, il caso di scuola della Innse ha spiazzato i sindacati. E gli imprenditori?
«Credo che il tessuto sociale abbia mostrato di tenere. Nei momenti di difficoltà si tende a unirsi».
Una protesta sulla gru fa più rumore di una foresta che cresce?
«Credo che la coesione sia più forte, al di là delle manifestazioni vistose. Limportante è dare risposte reali a problemi reali».
Lei quanto è milanese da zero a dieci?
«Mi sento milanese al 100%, ma non voglio perdere le mie radici. Madre milanese, padre originario del Sannio e a proposito, i sanniti sono stati ossi duri per Roma. Era di San Marco dei Cavoti».
Sembra molto orgoglioso.
«Mi piace vedere al supermercato le mele annurche, o il bacio, un torroncino inventato proprio a San Marco, che oggi si trova nelle pasticcerie di Milano o di New York. Quando sono stato eletto presidente di Assolombarda, un compaesano me ne ha mandati, con questo (un biglietto di congratulazioni scritto a mano). Mio padre era molto legato anche a Milano: ci è rimasto 35 anni senza tornare nel Sannio. Era un grande lavoratore».
Luniversità alla Bocconi, le superiori?
«Allo Zaccaria, dai padri Barnabiti. Ricordo la strada per andare a scuola, sotto i tigli: via della Commenda, piazzetta Umanitaria...».
Adesso dove abita?
«Porta Romana».
È il suo posto preferito in città?
«Veramente amo le periferie. Ho una passione per le foto, e le periferie mi affascinano. Se posso, andando in ufficio a San Donato faccio le strade periferiche, per passare tra i capannoni abbandonati. Oppure vado alla Bicocca o alla Bovisa, di mattina presto: il paesaggio ex industriale trasformato in università...».
Il suo primo ricordo di Milano.
«I giardini pubblici di Porta Venezia. Allora cera lo zoo, con mio fratello andavamo quasi ogni giorno a vedere gli animali, lelefante Bombay. E il primo latte pastorizzato, lo vendevano come fosse una bibita...».
La fama della sua passione per la musica la precede.
«Me lha trasmessa mia madre, che era di famiglia modesta ma conosceva la classica».
Dicono che sia un esperto.
«Beh, sulliPhone cè quel programma che riconosce le canzoni in 12 secondi...».
Lo usa?
«A volte faccio la gara... Certo mi piacerebbe avere molti anni di meno, ma la mia generazione è quella cresciuta coi Beatles e i Rolling Stones. Ho una passione per Van Morrison, ha accompagnato tutta la mia vita: ha iniziato quando avevo diciottanni e continua a cantare».
È vero che interroga i suoi collaboratori?
«(Ride) Diciamo che cerco di educarli. Per me la musica si divide in due: quella che ti emoziona e quella che no».
Qualche italiano la emoziona?
«Infinitamente Paolo Conte. Fiorella Mannoia, che è anche unamica. Consiglio caldamente gli Avion Travel. E poi Battiato...».
Onnivoro?
«Ma tremendo. Con un amico diamo giudizi trancianti, ispirandoci a Nick Hornby nel romanzo Alta fedeltà: abbiamo la mania delle classifiche».
Severi?
«Raramente ci scappa un 7. Ma dovrebbe valere in tutte le cose: io vorrei davvero che Milano fosse la città del merito».
È un lettore forte?
«Leggo molto, ogni tanto anche le grammatiche italiane, per purificarmi dallinglese economico».
Libro preferito?
«In assoluto Cuore di Tenebra, di Conrad».
Film?
«Il più bello degli ultimi anni, senza nessun dubbio, Le vite degli altri. Ma non ho ancora visto Baarìa...».
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