Bosisio Parini, l’egiziano senza nome riposa in una fossa comune

È arrivato in Italia alla ricerca di una vita migliore ed è morto in solitudine

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Ha attraversato il mare e risalito l’Italia intera in condizioni disperate, come tanti giovani disposti a morire pur di scappare da miseria, guerre, scontri tra bande, dittatori che imperversano in Africa. Cercava la libertà, un’esistenza migliore, la possibilità di aiutare i familiari che non lo hanno potuto seguire, oppure voleva altro ma non lo si saprà mai, perché non ha potuto raccontare ad altri la sua storia, i suoi sogni, le sue speranze: è morto da solo, senza nemmeno i suoi documenti in tasca, sull’asfalto della Statale 36, falciato da una incolpevole automobilista che lo ha travolto mentre vagava e barcollava come uno spettro nel buio della notte dove non avrebbe dovuto trovarsi, forse in preda alle allucinazioni di qualche sostanza proibita.

Ora riposa per sempre in una fossa comune del cimitero di Bosisio Parini: non c’è una lapide a indicare chi fosse, né un monumento a ricordarlo e neppure un simbolo religioso per affidarlo a un dio in cui forse credeva. Lui rimarrà solo l’egiziano di 30 anni che la sera del 19 ottobre, all’altezza di Bosisio, è stato investito sulla superstrada Milano–Lecco, in direzione sud. Nessuno lo ha cercato, nessuno ne ha denunciato la scomparsa, nessuno ha reclamato i suoi resti straziati dall’incidente. I suoi genitori e quanti lo amavano nemmeno sanno della sua sorte, non ne sono stati informati poiché non è stato possibile rintracciarli nel loro Paese dove probabilmente si trovano. Come prevede la legge il suo feretro è stato così seppellito nella fossa comune del camposanto di dove è deceduto. Mille euro è stato il prezzo del trasporto della sua salma, della sua bara, della sua inumazione in una terra straniera dove cercava un futuro e invece ha trovato una misera fine.

Daniele De Salvo