
LECCO – “Non ho avuto tempo di aver paura, né di pensare quanto l’acqua fosse fredda e il lago agitato. Volevo solo salvarlo. È il mio lavoro, la mia missione. Mi sono spogliato e mi sono buttato in acqua. D’istinto". A parlare è il vigile del fuoco Emanuele Ionadi, 31 anni, da due effettivo in forza al comando provinciale di Lecco, dopo 10 di gavetta come discontinuo. Emanuele è stato il primo, venerdì a mezzogiorno, a lanciare l’allarme e a tuffarsi per provare a salvare Ibrahim, il 13enne di Cinisello Balsamo affogato nel lago a Lecco.
«Ero libero dal servizio, stavo camminando sul lungolago – racconta Emanuele –. Ho visto un ragazzino gettarsi in acqua dal lungolago e raggiungere a fatica a nuoto una piattaforma galleggiante. Gli amici da riva lo applaudivano. Subito dopo se n’è buttato un altro. Indossava solo gli slip. Inizialmente sembrava fosse in grado di restare a galla, poi ha cominciato ad annaspare e sbracciarsi. Gli altri però scherzavano, lo prendevano in giro, come se stessero giocando". Emanuele tuttavia ha intuito che stava per accadere qualcosa di brutto, il passo svelto con cui aveva già cominciato a raggiungerli si è trasformato in una corsa affannosa. Non si sbagliava: Ibrahim è sparito sotto la superficie del lago e non è più riemerso.
"Ho urlato a una ragazza di chiedere aiuto, sono arrivato alla piattaforma, mi sono tolto i vestiti e mi sono tuffato nel lago – prosegue Emanuele –. L’acqua era freddissima, agitata e torbida, non si vedeva nulla. Il vento e le onde spingevano al largo". Emanuele ha continuato a immergersi, riemergere a prendere una boccata d’aria, immergersi di nuovo fino a quando ha resistito. "Ho realizzato che in quelle condizioni non sarei mai riuscito a individuare e ripescare quel ragazzino. Sono uscito dall’acqua e ho chiamato anche io i soccorritori per fornire ulteriori indicazioni", continua il vigile del fuoco.
"Gli altri ragazzini se ne stavano andando, erano sconvolti, sotto shock – dice Emanuele –. Li ho tranquillizzati e rassicurati, ma piangevano, erano disperati". In pochi minuti sono arrivati i colleghi in turno, con muta, maschere e pinne e poi i sommozzatori. Pure loro, sebbene equipaggiati, non sono riusciti a trovare Ibrahim, non subito almeno, ci hanno impiegato un’ora e mezza perché le condizioni del lago erano proibitive. "Ho fatto quello che dovevo, come avrebbe fatto ogni mio collega. La nostra missione è salvare le persone, ci prepariamo e ci addestriamo per farlo. Vorrei solo aver salvato anche Ibrahim".