Lecco, processo Metastasi: i testimoni in aula

Estorsioni e mazzette, così si operava: «Vuoi sbloccare il terreno? Ci vogliono 60mila euro»

Il tribunale di Lecco

Il tribunale di Lecco

Lecco, 26 marzo 2015 - C'è chi cerca protezione dai «tipi loschi» e non la chiede alle forze di polizia ma «alla persona giusta per fare presto». C’è chi si offre come intermediario per risolvere vecchie questioni rugginose («ci pensa uno che conosco»). C’è chi «dà una mano in amicizia» ma poi chiede il conto, sempre «in amicizia». La ’ndrangheta e il controllo del territorio, la nuova mafia che «non spara ma si insinua» nelle vita pubblica e privata, toccandone protagonisti e comprimari: cittadini stritolati dalla burocrazia, istituzioni pigre se non compiacenti, piccoli imprenditori in difficoltà, sottoboschi criminali con pochi scrupoli e pronti a (quasi) tutto per pochi spiccioli. Su questi aspetti si è concentrata la pubblica accusa nell’udienza Metastasi andata in scena ieri.

Nuovo capitolo del processo che vede alla sbarra il presunto boss della locale di Lecco Mario Trovato e sodali (Massimo Nasatti, Saverio Lilliu, Antonello Redaelli, Antonino Romeo) insieme all’ex sindaco di Valmadrera Marco Rusconi e all’imprenditore Claudio Crotta. Le accuse, a vario titolo: associazione mafiosa, corruzione, turbativa d’asta. Contestualmente, nuova sfilata di testimoni chiamati dalla pm Bruna Alberti a raccontare fatti e retroscena su «tentate estorsioni, richieste di protezione, telefonate intimidatorie» da parte del clan Trovato, diretto discendente – secondo l’impianto accusatorio – della cosca che negli anni d’oro della mala faceva capo Franco Coco, il padrino finito all’ergastolo dopo la maxi inchiesta Wall Street alla metà dei ’90.

Il primo teste a entrare in aula è Simone Cavallaro, «amico di Rolando Trovato figlio di Mario», dirà davanti al presidente del tribunale Enrico Manzi. «Da ragazzini Rolando mi parlava di suo padre e di suo zio, del carcere... Sapevo bene chi erano i Trovato, a Lecco lo sanno tutti». Così Cavallaro racconta di quando, nel 2012, pensò di chiedere aiuto proprio a Mario per risolvere «una brutta storia». In quel periodo lavora come barista nel locale del fratello, l’Invidia di Carate Brianza. «A un certo punto arriva questo tale, Alessandro, che vuole dei soldi. Allora ho deciso di rivolgermi a Mario... volevo risolvere in fretta la situazione». E infatti Trovato, una sera di luglio del 2012, manda subito «un paio di ragazzi» a Carate. Ascoltato dalla guardia di finanza nella primavera scorsa, Cavallaro riconoscerà nei «due ragazzi» Massimo Nasatti e Alessandro Nania, quest’ultimo in attesa di essere giudicato con rito abbreviato insieme ad altri due arrestati di Metastasi: Claudio Bongarzone e l’ex consigliere comunale di Lecco eletto in quota Pd Ernesto Palermo. Mario Trovato non vuole compenso per il suo aiuto. «Ma chiede di poter installare le sue macchinette di videopoker» (gestite attraverso la società Dbm service, ndr) nel locale di Carate. L’affare non andrà mai in porto.

Dopo Cavallaro, in aula è la volta di altri due testimoni, i fratelli Invernizzi, Elena e Michele, nipoti dell’imputato Antonello Redaelli, zio per parte di madre. Si parla di un vecchio terreno di proprietà degli Invernizzi, 2mila metri quadrati da vent’anni in attesa di essere sbloccati e resi così edificabili. Nel 2012 è zio Antonello che decide di occuparsene. Lo raccontano entrambi i nipoti davanti al giudice: «Ci telefonò dicendo che c’era un suo conoscente che poteva aiutarci. Non ci ha mai voluto dire chi fosse, ma abbiamo ricostruito che doveva trattarsi di Ernesto Palermo». In un successivo incontro, Redaelli svela tutte le carte. Il favore ha un prezzo, e non da poco: «Sessantamila euro, da dare in due tranche: 30 subito, 30 a cose fatte». I fratelli a quel punto rifiutano. Meglio la burocrazia delle mazzette.