La pensione mensile? È di mille e cento euro

In provincia sono 112.869 le persone che hanno concluso il ciclo lavorativo, su un totale di nemmeno 340mila abitanti

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di Daniele De Salvo

Un terzo dei lecchesi è pensionato e vive mediamente con 1.100 euro o poco più al mese. In provincia di Lecco i pensionati sono 112.869, su un totale di nemmeno 340mila abitanti: sono poco meno di un terzo della popolazione, ma anche poco meno della metà dei circa 240mila contribuenti che pagano l’irpef e hanno cioè un reddito. L’anno scorso erano 113.533, nel 2010 oltre 116mila.

L’importo della pensione media è di 1.129,93 euro, le donne rispetto agli uomini hanno però mediamente una pensione più bassa di 918 euro rispetto agli uomini. Si tratta del gender pay gap più alto d’Italia. Durante la pandemia, come in altre situazioni di crisi, probabilmente senza l’aiuto di genitori o nonni pensionati molti figli e nipoti non sarebbero riusciti a fronteggiare la difficile situazione economica, perché più che "Una pensione è per sempre!", come esclama Salvo Salvatore Ficarra nel film "Andiamo a quel pese" del 2014 in cui con Valentino Picone si trasferisce a casa della zia pensionata per poter campare, spesso una pensione è per tutta la famiglia. Eppure gli attuali pensionati "in questi vent’anni hanno ridotto del 30% il loro potere d’acquisto", spiega Diego Riva, segretario generale della Cgil Lecco. "I pensionati sono una larga fascia di popolazione, un terzo del Lecchese, con un compenso che troppo spesso è inferiore ai mille euro – commenta -. Dobbiamo mettere in campo un’azione che sostenga e garantisca ai pensionati la perdita del potere d’acquisto e aumenti la platea di chi ha diritto alla quattordicesima mensilità. Le pensioni non sono una spesa pubblica, ma uno strumento di coesione sociale universale e solidale". Secondo il segretario della Cgil lecchese occorre inoltre superare la legge Monti – Fornero: "Se si dovesse mantenere questa impostazione in futuro le persone rischieranno di andare in pensione con un’età anagrafica di 70 anni o con 45 di contribuiti versati. Questo meccanismo è fuori logica, non lo condividiamo. Anche per questo equilibrato ragionamento chiediamo di uscire dal mondo del lavoro con meccanismi flessibili dai 62 anni di età, oppure con 41 anni di contributi".