Incolparono i piloti, invece era il ghiaccio

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BARNI (Como)

Sono passati ormai 35 anni dalla tragedia aerea che gli abitanti del lago di Como ricorderanno per sempre, quella dell’Atr 42, il Colobrì, che si schiantò nei boschi a 800 metri di quota di Conca di Crezzo e dei sui 37 morti. "Siamo in emergenza", furono le ultime parole che i tecnici della torre di controllo di Linate riuscirono ad ascoltare attraverso la radio la sera del 15 ottobre del 1987. Sedici minuti dopo il decollo, dell’Atr 42 che era diretto a Colonia con a bordo 34 passeggeri e tre membri dell’equipaggio, sui radar si persero le tracce. Attorno alle cime del Lario era ormai calato il buio. Un boato squarciò il silenzio dell’Alta Vallassina intorno alle 19.30. Pioveva a dirotto. Negli anni seguenti, attraverso un lungo e drammatico processo che si svolse prima a Como poi a Lecco si tentò di far luce sulla tragedia. La fase più dolorosa fu quando si puntò il dito proprio contro i piloti Lamberto Lainè e Pierluigi Lampronti. Le complicate indagini fecero emergere la presenza di responsabilità a diversi livelli, nonché la presenza di un manuale di istruzioni contraddittorio. Il processo fu lungo e tormentato. Il padre e la madre di Lampronti che seguirono, minuto per minuto, tutti i processi, difesero strenuamente l’innocenza del loro figlio. La Cassazione dette loro ragione. Per i giudici infatti non ci fu nessun colpevole ma solo una catena di cause che portarono i piloti a perdere il controllo dell’Atr 42. Furono condizioni eccezionali e il ghiaccio, che imprigionò le ali a provocare la tragedia dell’Atr 42. Federico Magni