Cervi rimasti senza cibo e acqua: ora è corsa per salvarli

Dovevano essere un'attrazione turistica ma poi il piano è andato a monte e i quattro cervi del Pian delle Betulle sono aiutati solo dai volontari dopo essere rimasti senza acqua e cibo

I cervi del Pian delle Betulle

I cervi del Pian delle Betulle

Margno (Lecco), 27 gennaio 2017 - E' soprannominato «l’ultimo paradiso», ma il Pian delle Betulle, a Margno, in Valsassina, per quattro cervi assomiglia più a un inferno. Il foraggio di cui si nutrono scarseggia, dopo essere scampati prima ad un destino che li aveva trasformati in attrazione turistica e poi al pericolo delle doppiette, ora rischiano di soccombere alla fame. Alcuni «angeli custodi», cioè i volontari di un’associazione animalista, ogni settimana, zaino in spalla, si arrampicano sin lassù, a 1.500 metri di quaota, per portare loro da mangiare e nutrirli, ma il foraggio scarseggia e gli ungulati non sono in grado di procurarselo da solo. Per scongiurare il peggio gli attivisti di Freccia45, sodalizio no profit contro la vivisezione, hanno lanciato una raccolta di fondi per comperare il fieno necessario per continuare a mantenere gli artiodattili. «Siamo fieri di aver contribuito a salvarli da morte certa, ma adesso occorre l’aiuto di tutti per mantenere l’oneroso impegno che ci siamo assunti», spiega la presidente Susanna Chiesa. I cervi sono stati introdotti nella sorta di parco faunistico o di allevamento a partire dal 2012 con lo scopo di attirare visitatori.

Avrebbero dovuto occuparsene gli operatori di una cooperativa, fallita tuttavia nel giro di breve, una vicenda per nulla chiara e lineare, tanto da indurre gli agenti della Polizia provinciale e i magistrati della Procura di Lecco ad avviare un’inchiesta. Inizialmente si era ipotizzato di reimmetterli in libertà, non sarebbero però sopravvissuti a lungo, perché non abituati allo stato brado e perché probabilmente sarebbero stati attesi al varco dai cacciatori. Proprio grazie all’intervento e alla mediazione degli animalisti di Freccia45 alla fine si è raggiunto il compromesso di lasciarli lì, nei loro recinti, assistiti in collaborazione con i volontari di AmiciCani della provincia di Parma.

«Che problema c’è? Il clima di montagna è consono ad animali del genere – spiega chi si sta facendo carico degli esemplari -. Peccato che la zona recintata sia tutto sottobosco, quindi non cresce un filo d’erba ed una volta mangiate quelle poche felci esistenti, non c’era più un boccone con cui sfamarsi». Da qui la necessità di nutrirli con foraggio e fieno, in attesa non solo di accertare le responsabilità di chi ha provocato un caso paradossale, ma anche di studiare una soluzione definitiva che assicuri una lunga vita ai quattro cervi, costretti a rimanere prigionieri in gabbia perché da animali liberi, non per colpa loro, avrebbero un destino segnato.