Barzago, il giallo di Alvin: "Dovrebbe essere qui ma non c'è"

Secondo il governo albanese il piccolo bloccato in Siria sarebbe già dovuto rientrare. Il padre: "Ci hanno illusi ancora"

Afrim Berisha, il papà del piccolo Alvin

Afrim Berisha, il papà del piccolo Alvin

Lecco, 7 novembre 2019 - Secondo fonti governative ufficiali albanesi avrebbe dovuto essere tornato di nuovo a casa in Italia a Barzago già da ieri sera. Alvin invece non solo non è ancora da suo papà, Afrim Berisha, né con le sue due sorelle più grandi, ma non si sa nemmeno dove si trovi esattamente e neppure se effettivamente, come annunciato dai giornalisti arabi e di Tirana l’altro giorno, sia al sicuro, fuori dal girone infernale del campo profughi di Al Hole. «Non è vero niente, mio figlio è ancora lì in pericolo in quel posto orrendo - continua a ribadire sconvolto e incredulo il padre -. Non so perché siano state diffuse queste notizie, né chi abbia raccontato queste sciocchezze, illudendoci ancora una volta». Chi ha avuto modo di stare vicino al l’uomo riferisce che è distrutto dal dolore e dall’ennesima delusione, peggio di quando a settembre è dovuto suo malgrado rientrare in Italia da solo, abbandonando il figlio ritrovato dopo cinque anni di frenetiche ricerche per poterlo incontrare e riabbracciare in quella che è una immensa prigione a cielo aperto per gli sfollati e i reduci del sedicente Stato islamico.

«Questa situazione di incertezza e di confusione è devastante - conferma l’avvocato di fiducia Dariel Levan -. Soprattutto non riusciamo proprio a capacitarci del motivo per cui sono state diffuse delle notizie non fondate». Probabilmente si tratta di un’azione di propaganda, che però potrebbe mandare a monte l’intera operazione di salvataggio che è ancora in corso. L’unica certezza infatti è che effettivamente qualcuno degli apparati di sicurezza e di intelligence italiani, in accordo con i diplomatici dell’Albania e gli operatori della Mezzaluna siriana e della Croce rossa internazionale, si sia mosso per davvero attivamente e stia ancora lavorando freneticamente direttamente sul posto per risolvere la delicata questione e trarre in salvo quanto prima il ragazzino di 11 anni, rapito dalla madre nel dicembre del 2014 per trascinarlo nei territori del Califfato e trasformarlo in un baby terrorista. Il caso potrebbe dunque essere effettivamente vicino ad una svolta, come sembrano confermare il silenzio e il riserbo dei funzionari della Farnesina.

Sempre stando a quanto trapelato dagli ambienti politici albanesi mancherebbero solo alcuni documenti che i combattenti curdi, che gestiscono pressoché tutti i campi profughi che sorgono in quello che era il territorio occupato dai taglia gole della bandiera nera, reclamerebbero per poter rilasciare il leoncino orfano dell’Isis. In seguito all’offensiva dei soldati turchi i guerriglieri del Pkk vorrebbero infatti essere certi che realmente Alvin lascerà la Siria, per timore che invece possa essere di nuovo reclutato dai miliziani di Daesh che stanno provando a riorganizzarsi dopo l’invasione dei militari di Ankara. Dopo la sua richiesta di aiuto consegnata a fine estate alle autorità italiane tramite un emissario della Croce rossa, non si dispongono più di notizie certe neppure di Alice Brignoli, la 42enne brianzola che nel febbraio 2015 è partita da Bulciago sempre per arruolarsi come foreign fighter tra le fila dei terroristi di Daesh e neanche dei suoi quattro figli, l’ultimo dei quali nato in Siria, mentre gli altri tre li ha portati via con sè e il marito poi morto in battaglia dall’Italia. Pure loro si troverebbero nel campo di Al Hole. Tutti coloro che hanno avuto modo di accedervi riferiscono di aver sentito parlare di lei, che è considerata quasi una eroina da chi continua a sostenere la causa dello Stato islamico, da cui lei non si sarebbe ancora dissociata, limitandosi solo a chiedere di poter essere rimpatriata. Pochi se non nessuno dei visitatori esterni è tuttavia riuscito a incontrarla direttamente, poiché considerata potenzialmente pericolosa.