Lecco, caso Baby Gang: "Il rap? Un modo per urlare il loro disagio"

Gricinella, l’esperto di cultura hip hop analizza il fenomeno. E ricorda: "Gli afroamericani fecero lo stesso con il blues"

Baby Gang

Baby Gang

Lecco, 31 ottobre 2020 - Droga, armi e violenza. Un mix tutt’altro che nuovo nella storia e nell’immaginario della musica trap e ancor più nel rap, suo genere antesignano. Una combinazione costata cara al diciannovenne lecchese conosciuto con il nome d’arte “Baby Gang“ denunciato insieme ad altri 9 (di cui uno arrestato) della sua crew. L’accusa è di istigazione alla violenza e la fedina penale di alcuni di loro non può certo dirsi immacolata. Che la musica urban spesso coincida con una narrazione sopra le righe intrisa di una generale lotta al sistema è un dato di fatto ma ciò, nella vita reale, non garantisce l’equazione automatica rapper-criminali. Luca Gricinella, scrittore e giornalista milanese da decenni si occupa di studiare la cultura hip hop da un punto di vista sociologico tanto da averci dedicato due saggi e oggi è responsabile della comunicazione per diverse fra etichette indipendenti e major.

Quale immaginario si cela dietro al video “Bimbi Soldato”?

"Hanno scelto quello delle banlieue francesi. Molti rapper francesi, infatti, hanno girato video simili. Non a caso a inizio brano compaiono espressioni molto usate nel gergo rap come “Je nique ta mère, je nique ton père“".

Il binomio musica rap-delinquenza è un vecchio cliché?

"Il rap e i suoi sottogeneri hanno sempre avuto molta presa negli ambienti più disagiati, dove sono nati, e per molti sono stati e restano una via d’uscita da una vita difficile. Nei racconti più duri il rapper condivideva con gli ascoltatori i suoi espedienti del passato, in qualche modo se ne liberava. Si trattava di racconti di critica e denuncia più che di celebrazione della malavita ma ancora oggi il linguaggio diretto, a prescindere dagli intenti, innesca reazioni allibite. Di certo la volontà di scioccare il cittadino medio fa parte della musica da molti decenni, tra gli afroamericani sin dai tempi del blues, quindi questo meccanismo potrebbe durare a lungo".

Pensa che intendano invertire tale tendenza?

"Credo che il dibattito su se e quanto il rap o la trap siano diseducativi sia senza via d’uscita perché non ci sarà mai la controprova. Per esempio, si può stabilire quanto il rap sia uno specchio della realtà o quanto determini la realtà stessa? Accuse simili vanno pure ad alcuni talk show, videogiochi e film violenti o influencer che ostentano ignoranza. È più probabile che, per cambiare toni e valori, il rap abbia bisogno di un cambiamento sociale che parta da modelli diversi".

Si è fatto un’idea di che percezione hanno oggi i giovani? "Gli studenti spesso riescono a decifrare il linguaggio del rap, a differenza di molti adulti. È un linguaggio che conoscono e alcune pose, forzature o riferimenti per loro sono familiari. Chi conosce meno questo linguaggio, spesso sottovaluta proprio il ruolo della finzione nei video e testi. Oggi l’età media del pubblico rap in Italia si sia abbassata e sarebbe utile che ci fosse modo di agevolare i più giovani ad approfondire".