"Papà, riportami a casa". Così Alvin è tornato a Barzago

Il bambino rapito dall’Isis accolto dal padre e dalle sorelle. La supplica nelle lettere e nelle telefonate dalla sua prigionia in Siria

Alvin accolto all’aeroporto di Fiumicino dalle due sorelle

Alvin accolto all’aeroporto di Fiumicino dalle due sorelle

Barzago (Lecco), 9 novembre 2019 - Il campione è di nuovo a casa. Nel tardo pomeriggio di ieri Alvin, dopo cinque anni, ha potuto rimettere piede nell’appartamento al primo piano della palazzina popolare di Barzago da cui, nel dicembre 2014, mamma Valbona, all’epoca 35enne, lo ha rapito con l’inganno. Il pretesto era accompagnarlo a una festa di compleanno, il vero scopo trascinarlo con sé nell’inferno del Califfato nero e offrirlo ai tagliagole dell’Isis, che lo hanno addestrato a diventare un terrorista

La madre laggiù è morta, dilaniata dalle bombe sganciate durante un raid aereo su una colonna di miliziani dell’Isis in rotta. La stessa sorte è toccata al nuovo marito, che aveva scelto come padre per Alvin, oggi 11 anni, e ad altri due figli. Quando la bomba che li ha uccisi tutti è deflagrata, Alvin era con loro, gli sono esplosi accanto in un lampo. Lui, unico sopravvissuto, se l’è cavata con una ferita al tallone. «È un miracolo, come se una mano invisibile lo abbia protetto da quella gradine di fuoco e metallo», riferisce il procuratore antiterrorismo di Milano Alberto Nobili, che ha avuto modo di visionare il filmato del raid durante le indagini per rintracciare Alvin. Quella stessa mano invisibile lo ha protetto come uno scudo anche dopo, nell’immenso campo profughi di Al Hole, dove ha dovuto cavarsela da solo completamente abbandonato a se stesso.

Ma ormai quello è il passato, adesso Alvin è di nuovo a casa. ««Bentornato campione»», lo hanno accolto con uno striscione disegnato dalle sorelle i familiari e i vicini di casa. «Le rare volte che ci sentivamo per telefono e quando poi sono riuscito a incontrarlo mi ha supplicato di riportarlo a casa, io gli ho sempre promesso che ci sarei riuscito e sono stato di parola, perché un papà deve sempre mantenere le promesse fatte a un figlio», racconta il padre Afrin Berisha. Il bambino lo ha scritto anche in una lettera, in arabo: «Papà, vienimi a prendere, riportami a casa». L’uomo, distrutto dall’interminabile attesa e dal lungo viaggio in auto per andare a riprendersi all’aeroporto di Fiumicino quel figlio che gli era stato rubato, si è finalmente sciolto in un sorriso che nessuno era più abituato a vedergli sul volto negli ultimi 5 anni. «Ringrazio quanti mi hanno aiutato mantenere la promessa – ha aggiunto – . Io sarei stato disposto a tutto per non deluderlo, ma da solo non ci sarei riuscito. Adesso lasciatelo tranquillo, Alvin ha bisogno, di tempo, di dimenticare tutto e ne abbiamo bisogno anche noi».

Prima di poter cancellare definitivamente dalla memoria l’orrore subito, Alvin la settimana prossima dovrà rivivere tutto ancora una volta per raccontare quanto si ricorda agli investigatori dell’antiterrorismo e magari aiutarli a salvare altri bambini che ancora si trovano laggiù in quell’inferno, dove si stima possano esserci ancora una dozzina di piccoli italiani da riportare a casa sani e salvi come lui.