Abbadia Lariana (Lecco), 26 gennaio 2014 - «Vorrei vedere la mia Sara, quando posso incontrarla?». Settimana scorsa, terminata l’udienza per nominare i periti che dovranno leggere nella sua mente malata, Aicha Christine Eulodie Coulibaly, la 25enne della Costa d’Avorio che la mattina del 25 novembre 2013 ad Abbadia Lariana ha ammazzato il proprio primogenito Nicolò di appena tre anni, ha chiesto con un filo di voce di poter riabbracciare la figlia più piccola, che ormai ha compiuto un anno. Per ora però il suo desiderio non potrà essere esaudito, forse non lo sarà mai.

«Più volte ha domandato anche a me di poter abbracciare la secondogenita - spiega l’avvocato difensore, Sonia Bova -. Ho pensato ad un colloquio protetto, in un ambiente idoneo e con l’assistenza di operatori specializzati; al momento però è ancora troppo presto e anche in futuro non sarà facile. Probabilmente la mia assistita ha perso tutto, il compagno, il bimbo più grande che ha ammazzato nonostante, per sua stessa ammissione, fosse il preferito e pure l’altra piccola che potrebbe non vedere mai più». Tutto dipenderà da quello che stabiliranno gli psichiatri che adesso devono comprendere cosa sia scattato in lei, perché si sia scagliata con violenza contro la persona che era il suo bene più prezioso, ma soprattutto se sia capace di intendere e di volere e, aspetto ancora più importante, se sia socialmente pericolosa. In quest’ultimo caso il verdetto sarebbe definitivo e non potrebbe più stringere al petto al bimba scampata a quel raptus di follia.

«Qualora gli esperti giungessero alla conclusione che costituisca un pericolo, difficilmente i giudici accetteranno che possa di nuovo avare a che fare con la figlia sopravvissuta», ammette il legale difensore. Al momento tuttavia quello che sarà il futuro rimane tutto da scrivere, come la strategia processuale. Intanto la donna resta rinchiusa in una cella del Bassone di Como, vicino ai locali destinati alle guardie carcerarie per timore che le altre detenute possano aggredirla, la stessa dove era stata collocata subito dopo l’arresto, prima del trasferimento all’ospedale giudiziario di Castiglione delle Stiviere, provincia di Mantova. «Auspichiamo che possa tornare presto lì, a nostro avviso è il luogo più idoneo. Lunedì mattina andrò a trovarla, cominceremo pian piano a leggere insieme tutti gli atti e a ripercorrere quello che è capitato, non sarà facile, si tratta di un compito doloroso, ma necessario». Rispetto ai mesi scorsi l’ivoriana a chi l’ha incontrata è parsa dimessa, quasi trascurata, senza trucco, con i capelli in disordine e i vestiti troppo larghi per quel fisico esile e slanciato. «Traspare interamente la sua fragilità di ragazzina divenuta grande in fretta e da sola, della giovane di bell’aspetto e sicura non è rimasta che l’ombra».