Consonno (Lecco), 16 dicembre 2013 - La città dei balocchi oggi è un paese di fantasmi. Rincorrono un sogno, quello, mezzo utopico e mezzo manageriale, del conte Mario Bagno, costruttore nato a Vercelli nel 1901, morto novantenne nel 1995. Negli anni ‘60 Consonno è una frazione di Olginate, a una quindicina di chilometri da Lecco, 600 metri d’altezza, vista superba sul lago di Garlate, a fronteggiare le creste del Resegone. Ci vivono in duecento, divisi in sessanta famiglie e distribuiti in 170 ettari di terreno, quando il conte Bagno compie la sua prima ricognizione. Giusto il tempo di ricevere una folgorazione: trasformare il paese mignon in una cittadella del divertimento. Gli abitanti campano di agricoltura, nessuno è proprietario della casa in cui vive. Nel 1962 il conte costruttore acquista per 22 milioni e mezzo di lire tutte le quote di partecipazione dalla immobilare “Consonno Brianza” e avvia i lavori. Ruspe e dinamite spazzano via il vecchio borgo, le cascine, le stalle. Si salvano solo la chiesa di San Maurizio del 1200, l’attigua canonica del ‘400, il cimitero. Dimezzata la collina che impediva la vista completa del panorama. Una strada sostituisce la vetusta mulattiera.

La nuova Consonno vede la luce cinque anni dopo. Il Grand Hotel Plaza, ristoranti, sale da gioco, un minareto che s’innalza per trenta metri, una galleria dove si allineano negozi in stile arabeggiante, sala da ballo all’aperto, finte rocce, ponti, cascate, armigeri medievali a guardia di sfingi egizie, pagode cinesi, fontane rinascimentali, colonnati, souvenir, persino un finto cannone fatto arrivare da Cinecittà. Striscioni che promettono «A Consonno il cielo è più azzurro», «A Consonno è sempre festa», «Consonno è il paese più piccolo ma più bello del mondo» accolgono i turisti che nei primi anni sciamano a migliaia.

È il trionfo del kitsch, un po’ Hollywood e un po’ Disneyland, ma l’onda lunga del boom non si è esaurita del tutto, c’è ancora spazio per i sogni. Per i primi anni pare essere così. Ospiti illustri, Pippo Baudo, Milva, Dorelli, i Dik Dik, contribuiscono alla fama galoppante della piccola Las Vegas brianzola. È una breve illusione. Esaurita la spinta della novità, inizia il declino. Le visite si diradano. Non è più tempo di svago, ma di austerity e disagio sociale. Nell’ottobre del 1976 una frana sommerge quell’unica strada che collega Consonno al resto del mondo: sarà ricostruita solo nel 2007. È il colpo di grazia.

Nel 1981 si decide di ristrutturare una parte dell’hotel per farne una casa di cura per anziani. Infermieri e degenti rimangono a Consonno per vent’anni, fra gli ultimi testimoni di una realtà spettrale, prima che la struttura venga trasferita a Introbio, nella vicina Valsassina. Il paese dei balocchi cade in un oblio lungo trent’anni. Nell’estate del 2007 il borgo fantasma è invaso da un rave party, sono in trecento, venuti anche da Francia e Germania. Due giorni e due notti di vandalismi e bombardamenti di musica techno, gli ultimi cinque residenti svegli e barricati in casa per attutire il frastuono dei decibel e respingere visitatori sgraditi.
OPPURE ci si ricorda di Consonno come set cinemtografico o per girarci un videoclip. Si arrampicano i curiosi. Salgono gli studenti del Politecnico di Milano, le mappe in mano, in cerca di ispirazioni architettoniche. La storia è spezzata. I balocchi sono infranti. Torna il silenzio nel paese che non c’è.