Paderno D'Adda, 24 settembre 2013 - «Da quella sera, non riesco più a stare in quella casa. Vivo da un’altra parte, perché nel posto dove è stato ucciso il mio compagno non posso più stare». Con la testimonianza di Stefania Iannoli, compagna e convivente di Antonio Caroppa, si è aperto ieri davanti alla Corte d’Assise di Como il processo a carico di Santo Valerio Pirrotta, 46 anni di Lurago d’Erba, accusato di aver assoldato gli esecutori materiali del delitto, avvenuto il 10 maggio 2012. Tiziana Molteni, 53 anni di Dolzago e Fabio Citterio, 47 anni di Lurago d’Erba, vicino di casa di Pirrotta, hanno scelto il rito abbreviato, ma saranno sentiti a dibattimento il prossimo 30 settembre a Como come coimputati.

Secondo l’accusa del sostituto procuratore di Lecco Rosa Valotta, Pirrotta avrebbe fatto da tramite tra il mandanteAlberto Ciccia, 46 anni, ergastolano detenuto a Trani per il triplice omicidio di Briosco del 1996, ex compagno decennale della Iannoli – e gli esecutori di quell’omicidio, avvenuto sotto casa di Caroppa. I due convivevano da cinque anni, avevano una bimba di un anno e mezzo: «Quella sera – ha ricordato la Iannoli – erano circa le 22, ed è suonato il citofono. Qualcuno ha detto a Caroppa che due settimane prima gli aveva tamponato l’auto, e che voleva accordarsi sui danni. Lui è sceso, nonostante gli avessi detto che mi pareva molto strano.

Pochi minuti dopo sono scesa anch’io a vedere cosa succedeva: non si sentiva nulla, avevo una brutta sensazione. Li ho visti tutti e due molto bene, Citterio e la Molteni, e loro hanno visto me. Tenevano il mio compagno bloccato, lei gli puntava un coltello alla gola. Sono scappata per mettere al sicuro la bambina. Mi aspettavo che mi rincorressero, ma non lo hanno fatto, e ancora oggi mi chiedo perché: la mia presenza non gli interessava. Prima di fuggire ho fatto in tempo a incrociare lo sguardo di Antonio: non ha detto nulla e non poteva difendersi, mi ha solo lanciato un’occhiata per raccomandarmi di mettere al sicuro la bimba. Ho subito capito che con quello sguardo voleva dirmi quella cosa… Sono arrivata al piano di sopra, e ho sentito lo sparo».

È stata lei, la stessa notte del delitto, a indicare agli inquirenti, l’unica possibile ipotesi per ciò che era appena accaduto, facendo il nome dell’uomo con cui aveva diviso dieci anni della sua vita, fino al 2004, quando Ciccia fu condannato definitivamente all’ergastolo: «L’unico pensiero che ho avuto, è che lui potesse non aver preso bene il mio allontanamento. La relazione con lui è proseguita per oltre un anno dopo il suo arresto, ma io volevo una vita normale, una mia famiglia… Non ho mai subito minacce dirette, avevo però la sensazione di essere sempre tenuta sotto controllo. Solo il fratello di Ciccia, ora scomparso, mi aveva detto che Alberto di certo non era della mia stessa opinione di chiudere la relazione. «Vedremo», aveva aggiunto «Non penso che mio fratello, quando uscirà, farà passare questa cosa». Ne avevo parlato con Antonio, mi aveva detto di rivolgermi ai carabinieri, ma non l’ho mai fatto. Ho sempre pensato che se fosse successo qualcosa, sarei stata io la destinataria».

di Paola Pioppi