Lecco, 7 febbraio 2013 - Da sotto il colle della Speranza alla cima del Cerro Torre (3.128 metri) in sole tre ore e un quarto. La firma è dell’austriaco Markus Pucher, che per ripetere (in solitaria) la via dei Ragni sulla parete patagonica si sarebbe portato solo una corda e una vite da ghiaccio. Trentanove anni fa i "maglioni rossi" di Lecco ci misero tre giorni, "ma dall’attacco della parete e non dal Colle della Speranza", tiene a precisare Mario Conti, 69 anni, unico superstite dei quattro - il capo-spedizione Casimiro Ferrari, Daniele Chiappa e Pino Negri - che il 13 gennaio 1974 violarono per la prima volta la vetta.

Dettaglio non trascurabile che non cambia però la sostanza. L’epica impresa di allora - mesi di organizzazione, settimane di "assedio" tra bufere e vento, e sforzi sovrumani su una parete da sempre considerata difficilissima perché un misto di ghiaccio, neve friabile e roccia - è stata "frantumata" da una performance che ha dell’incredibile. Com’è stato possibile? "In quarant’anni l’alpinismo è cambiato moltissimo", spiega Conti, uomo-simbolo dei Ragni che ha scalato insieme a Messner in Himalaya (1975, tentativo alla sud del Lhotse con Riccardo Cassin capo-spedizione). "I materiali di oggi ti consentono quello che un tempo ti sognavi". La grossa differenza la fanno soprattutto le piccozze. "Noi salivamo con piccozze dritte che non tenevano e ti costringevano a ricorrere all’artificiale. Solo quattro anni dopo la nostra impresa si è cominciato a usare le piccozze curve, che ti consentono di viaggiare più spedito".

Nemmeno i chiodi sono più gli stessi. "Una volta erano a “cavatappi” e dovevi usare due mani per inserirli - racconta Conti -. Adesso si inseriscono nel ghiaccio con una mano utilizzando una manovella". Per non parlare dei ramponi "che un tempo rischiavi molto più spesso di perdere mentre salivi". Roba da pionieri se paragonata all’attrezzatura di cui può disporre oggi uno come Pucher, che una mano l’ha ricevuta pure dal meteo. "Quest’anno ci sono condizioni ottime: non ha nevicato e il ghiaccio è bellissimo, molto compatto e senza brina". Un bell’aiutino visto che da quelle parti il vero nemico degli alpinisti è proprio il maltempo: il vento soffia dal Pacifico a oltre cento chilometri all’ora, si scontra con la catena patagonica e scarica l’umidità con bufere epiche.

Un clima selvaggio e inospitale. "Eppure dal 1974 nella zona del Torre ci sono tornato una quincidina di volte - confessa Mario -, laggiù ho molti amici". Tra questi anche quella piramide di granito e neve dove insieme ad altri scrisse una grande pagina dell’alpinismo, che nessun record "cronometrico" potrà cancellare.

andrea.morleo@ilgiorno.net