Mandello, 20 maggio 2012 - «Che fadiga bagaj, che fatica. Questa montagna non ti dà mai respiro!». È stanco, svuotato, ma al sicuro dentro la tenda del campo base quando lo raggiungiamo al telefono satellitare. Mario Panzeri è un uomo che ha finalmente realizzato il suo sogno. Ha scalato tutte le montagne più alte della terra senza l’ossigeno, ma è ancora troppo presto per gioire. Non riesce bene a realizzare cosa gli sia successo negli ultimi due giorni. «Non riusciamo ancora a festeggiare. Abbiamo lo stomaco talmente chiuso...». Giovedì sera alle 18 ha raggiunto la vetta del Dhaulagiri, 8.167 metri, dopo aver lottato con la montagna nepalese per diciassette ore. Ma quello che è accaduto durante la discesa è stata un’avventura che ha messo a dura prova lui, il trentino Gianpaolo Corona e Dawa Sherpa. Mario cosa è successo quando avete deciso di partire per la vetta?

«Ci siamo mossi dal campo 3 in ritardo rispetto a quello che avevamo previsto. C’era un vento fortissimo e quando albeggiava era ancora intenso. Ci siamo riparati sotto un masso. Abbiamo aspettato e a quel punto molti di quelli che erano partiti con noi hanno deciso di tornare indietro. Abbiamo continuato solo io, Gianpaolo e Dawa. La neve era tutta da battere. A volte era alta fino al ginocchio. Un massacro. Precedevamo lentamente. Ci abbiamo messo tutto il giorno per raggiungere la parte finale della montagna. Al pomeriggio vedevamo la cima». A quel punto avete anche dovuto cercare la vetta giusta? «C’erano quattro cime, non si capiva bene quale fosse quella giusta. Era un attimo sbagliare. Ho cercato “Gnaro” (Mondinelli), perchè volevo che mi indicasse la direzione giusta. Il mio telefono era scarico e ho usato quello di Gianplaolo. Poi per fortuna Dawa si è messo in collegamento con il campo base e ci hanno dato delle indicazioni».

Come avete fatto a capire? «Abbiamo salito un canale dritto e tecnico fino alla cima, ma poi siamo scesi da un’altra parte. Credo di aver fatto un giro diverso rispetto a quello che solitamente fanno per arrivare in cima».
E sulla cima? «Abbiamo festeggiato, ero sul mio quattordicesimo ottomila ma era tardi. Erano le 17.45. Dovevamo scendere». A questo punto è iniziata un’altra odissea... «Sì, ci siamo messi in cammino. Credo mancassero tre ore all’ultimo campo quando le cose si sono complicate. Ha iniziato a nevischiare ed è salita la nebbia. Ormai era mezzanotte e non trovavamo più la strada. Ci siamo persi perché la neve aveva già cancellato le tracce. Io e Gianpaolo ci siamo seduti. Dawa era sceso.

Ci siamo sistemati sotto un sasso, credo a 7.400 metri. Ho chiuso il cappuccio e ho dormito. Un sonno a tratti intenso perché mi sembrava di essere nella tendina. Quando mi sono svegliato credevo che il vento l’avesse spazzata via. Mi sono guardato intorno e mi è sembrato di essere sulla luna. Non è stato un bivacco vero e proprio. Abbiamo aspettato. Poi fortunatamente con l’alba il tempo era ancora bello. Siamo scesi a campo 3 e poi giù direttamente fino al base». «Dedico il quattordicesimo ottomila a mia moglie Paola che ha sempre lottato qui con me e a Mario Merelli. Il Dhaulagiri è stato il suo ultimo ottomila. È stata una spedizione dura. Più di una volta ci siamo demoralizzati. Sono salito sei volte a campo uno. E bisognava sempre battere la traccia. Questa volta è stata veramente dura». Emozioni, pensieri e ricordi si rincorrono velocemente ora che è tutto finito. Il paragone con le altre cime salite non è facile ma per Mario Panzeri il Dhaulagiri è stata una sfida che l’ha prosciugato.

«Di solito sugli altri ottomila almeno i campi sono al sicuro. Su questa montagna invece non sei mai tranquillo. Abbiamo preso le valanghe sulle tende di campo 2 e anche al 3 le abbiamo montate su una cresta in pendenza. Abbiamo dovuto scavare nel ghiaccio. Non ci ha mai dato un attimo di respiro. Nevicava sempre. L’altro giorno quando siamo saliti a campo 2 c’era anche un temporale. Non mi era mai capitato. Sentivamo i tuoni sulla schiena». Dopo essere riposato al campo base, Panzeri sta riorganizzando il rientro e nelle prossime ore potrebbe già volare in Italia. Forse domani. «Mi dispiace tanto per Marco Confortola che ha rinunciato. Ha lavorato tanto per la spedizione. Ma con il suo problema ai piedi aveva molto freddo. Gli ho detto di ritentare nei prossimi giorni, vedremo».

di F.Ma.