2009-05-31
di BENEDETTA GUERRIERO
— LECCO —
CATHERINE de Senarclens è una donna dinamica, abituata alle sfide. Nata a Parigi 60 anni fa, la professoressa de Senarclens è arrivata in Italia per amore. «Mi ero innamorata di un giovane ingegnere lecchese, con cui sono felicemente sposata da quasi 40 anni, - ha detto la docente - e l’ho seguito. All’inizio ho scelto di venire in Italia per un anno per capire come mi trovavo e alla fine mi sono fermata. Il lago e le montagne di Lecco mi hanno conquistato».
Come mai ha deciso di insegnare?
«La scelta dell’insegnamento non è stata premeditata. Mi ero iscritta alla facoltà di Architettura a Losanna, ma quando negli anni Settanta sono arrivata a Milano per concludere gli studi, il Politecnico era occupato e ho lasciato perdere. Sapevo già tre lingue e mi sono iscritta alla facoltà di Lingue e letterature straniere presso lo Iulm. Nei primi anni ho insegnato inglese e francese ovunque, poi con l’arrivo dei concorsi la situazione si è finalmente stabilizzata».
Come ha trovato la scuola italiana?
Da subito ho capito che l’insegnamento era la mia strada, mi piaceva moltissimo e questo mi ha fatto sorpassare ogni ostacolo. A sorprendermi all’inizio sono stati i programmi, risalivano agli anni Venti e si basavano sull’approfondimento della lettura, della grammatica e della letteratura della lingua straniera. L’aspetto comunicativo non era nemmeno preso in considerazione. Quando sono arrivata al Bertacchi nel 1984 la scuola era magistrale e prevedeva l’insegnamento delle lingue solo nei primi due anni. In quel momento l’inglese stava affermandosi come strumento della comunicazione globale e insieme alla preside di allora, Dora Castenetto, abbiamo deciso di avviare la mini-sperimentazione per poter portare le lingue fino alla maturità. Da qui è nata l’idea di fondare il Liceo Linguistico, divenuto realtà nel 1989. Non ci siamo fermati e abbiamo anche deciso di aderire ai progetti Comenius: sono partiti gli scambi di classe con Germania, Francia, Polonia, Svizzera, e da allora mandiamo all’estero 200 studenti all’anno».
In questo periodo spesso si parla di bullismo e si dice che i giovani sono cambiati tanto, è d’accordo?
«Secondo me i ragazzi sono splendidi, ora sono solo meno abituati alla fatica e più angosciati. Sentono la crisi in cui viviamo, anche quella che coinvolge la famiglia, e sono spaventati, fragili. Non amo il clima disfattista: credo che chi si lamenta con tanta forza dei giovani, dimostra solo di essere invecchiato. Questi 25 anni nella scuola sono stati bellissimi e ora che vado in pensione avrò il rimpianto di questo mondo che mi ha dato tantissimo e mi ha reso felice. Ai miei alunni spero di aver lasciato la passione e di aver loro insegnato ad usare la testa, stando lontani dagli stereotipi».
Pensa che la scuola italiana debba essere riformata?
«Tra gli anni Settanta e Ottanta nella scuola si respirava un grande entusiasmo, in attesa di un cambiamento che però non è arrivato. Oggi questa euforia si è persa. Le riforme serie sono fondamentali e servono a ripensare a quello che si sta facendo. Ogni anno i singoli istituti dovrebbero mettersi in discussione e avviare nuovi progetti. Il Bertacchi è una fucina di novità, lavora con l’estero e questo comporta una fatica in più per i docenti ma è anche motivo di maggiore soddisfazione e di apertura mentale. La scuola non deve essere al servizio del territorio, ma deve conoscerlo. Se l’istruzione resta indietro è una perdita per tutti».
Che cosa le mancherà della scuola?
«Il contatto vivo con i ragazzi e la loro freschezza. Vado via da una scuola che ho amato molto, ma so di lasciarla in buone mani».