Mattarella in campo

Se non è un cambio di pelle, gli assomiglia molto

Milano, 28 gennaio 2018 - Se non è un cambio di pelle, gli assomiglia molto. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha improvvisamente rinunciato al suo stile notarile e solitamente defilato per lanciare alcuni messaggi chiari alle forze politiche e al Paese. In passato, in occasione di precedenti passaggi elettorali come il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, si era tenuto alla larga da contrapposizioni frontali.

Inoltre, non aveva neppure tiepidamente raccomandato agli italiani di non disertare le urne. Ora, invece, sembra voler scendere in campo per riaffermare il suo ruolo di garante, viste le crescenti fibrillazioni all’interno delle due coalizioni di centrodestra e centrosinistra e considerata l’incertezza delle prospettive post voto. Nelle ultime settimane Mattarella ha dapprima rivolto un accorato appello agli elettori contro qualsiasi tentazione astensionista. Forse mosso dalla preoccupazione evidenziata da alcuni sondaggi di una elevata astensione in grado di favorire forze antigovernative, l’inquilino del Quirinale ha rimarcato il valore democratico del voto e il dovere di tutti gli elettori di esprimere una preferenza alle urne. Poi ha esercitato una competenza che gli è attribuita dalla Costituzione. Cioè quella di nominare senatore a vita Liliana Segre. Non una nomina come un’altra, bensì una designazione dal significato politico preciso, che appare ancora più nitido e leggibile se collegato alla successiva affermazione di Mattarella sul fascismo («Sorprende sentir dire, da qualche parte, che il fascismo ebbe alcuni meriti»). Con questa rivalutazione dell’antifascismo il presidente ha forse voluto chiarire ancora una volta quanto le cancellerie europee e i vertici dell’Ue siano preoccupati di un’eventuale svolta sovranista/populista in Italia, considerato che, stando agli ultimi sondaggi, Movimento 5 Stelle e Lega potrebbero in linea teorica avere i voti per governare insieme e per smontare alcune riforme fatte nella legislatura appena conclusa in ossequio ai diktat di Bruxelles. In questo modo Mattarella ha anche voluto ribadire un concetto che sembra sfuggire ai leader di alcuni partiti: l’affidamento dell’incarico di formare il governo è una sua prerogativa, in quanto gli elettori sulla scheda non troveranno il nome del candidato premier se non nel simbolo di qualcuno dei partiti. È dunque dovere costituzionale del Capo dello Stato individuare per quel compito una personalità in grado di raccogliere in Parlamento i voti sufficienti per governare. Un modo per stoppare le fughe in avanti di alcuni leader come Luigi Di Maio che si sente già presidente del Consiglio in pectore. Non solo. Ora più che mai il presidente della Repubblica appare l’unico in grado di riannodare i fili del dialogo post voto e di assicurare al Paese un governo stabile.