La grande ipocrisia

Fedele a un vecchio copione, in vista del voto la politica ha ripreso a promettere tutto e il contrario di tutto, quasi che la campagna elettorale sia uno spettacolo di prestigiatori

Milano, 14 gennaio 2018 - Fedele a un vecchio copione, in vista del voto la politica ha ripreso a promettere tutto e il contrario di tutto, quasi che la campagna elettorale sia uno spettacolo di prestigiatori. Dall’abolizione del canone Rai alla Flat Tax, dalle pensioni minime a mille euro fino alla cancellazione di 400 leggi, sembra la sagra delle promesse, spesso irrealizzabili, che servono a galvanizzare gli elettorati e a illudere qualche sprovveduto sulla praticabilità di ricette miracolistiche. Tutto questo fa perdere di vista, ancora una volta, le priorità del sistema-Paese che nulla hanno a che fare con gli slogan di questi giorni. È evidente che per una manciata di voti si promettono le cose più accattivanti, soprattutto la riduzione delle tasse, ma la verità è che per garantire al Paese una stabilità finanziaria e una maggiore giustizia sociale servono anche decisioni scomode e impopolari che in campagna elettorale non si possono annunciare (vedi i tagli alla spesa pubblica) e che in un quadro governativo precario come quello che si profila difficilmente potranno essere varate

Sarebbe molto più onesto se tutte le forze politiche presentassero una sorta di action plan con obiettivi, interventi e coperture finanziarie, spiegando ai cittadini cosa intendano fare, come intendano farlo e con quali soldi. In questo modo la gente potrebbe scegliere in modo consapevole per chi votare e saprebbe con chi prendersela in caso di insuccesso. In Italia, invece, si sono scoperte anche in passato orribili scopiazzature di programmi politici indifferentemente usati per raccattare voti, a destra come a sinistra. In un quadro del genere, come si può pretendere che gli elettori sentano la responsabilità di andare a votare e percepiscano la politica come attività votata al bene comune? 

A compromettere il rapporto fra cittadini e politica è intervenuto nei giorni scorsi un discutibile schema di regolamento sulla par condicio varato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. In quel documento, improntato su un ossessivo quanto sterile monitoraggio del pluralismo sulle Tv private, si pretende addirittura rispetto della par condicio da parte dei giornalisti, considerati di parte alla stregua degli attori politici in competizione. L’articolo 7 di quello schema di regolamento, nonostante le rettifiche dell’ultim’ora da parte di Agcom, prescrive infatti a giornalisti e opinionisti il rispetto dei principi del pluralismo e del contraddittorio, nel senso che la loro presenza nelle trasmissioni di approfondimento politico dovrebbe essere «bilanciata»: per ogni giornalista o opinionista vicino a un’area politica se ne dovrebbe invitare uno vicino a un’altra parte politica. Quasi che chi fa informazione debba obbligatoriamente schierarsi da una parte. Il paradosso è che applicando questo perverso meccanismo si finisce per emarginare giornalisti e commentatori tendenzialmente neutrali e non pregiudizialmente schierati. È un principio che fa a pezzi la insopprimibile libertà dell’informazione.

sandro.neri@ilgiorno.net