Nelle ore successive all'ennesimo incidente costato la vita a una mamma di 34 anni, in viale Serra ieri mattina, si sono susseguite proteste e richieste di blocco del traffico, proposte d’istituire a macchia di leopardo "zone 30" e altro ancora. Si è insomma aperto il solito dibattito su “cosa fare” in una città che quest’anno ha contato 24 vittime della strada. Un’ondata emotiva comprensibile. Se tuttavia bastasse solo un cartello, o un segnale dipinto sull’asfalto, con ben in evidenza il limite dei 30 chilometri orari, vivremmo nel migliore dei mondi possibili. E invece non è così. Perché a Milano i mezzi motorizzati hanno assunto un dominio della città che a volte fa spavento.
Un’invasione quotidiana di centinaia di migliaia di veicoli, divieti di sosta ignorati, auto e furgoni in seconda fila che spesso occultano le strisce pedonali, svolte vietate solo sulla carta, marciapiedi invasi dalle moto, limiti di velocità che – quando non ci sono autovelox in funzione – sono semplici “consigli della nonna” (del tipo “mettiti la sciarpa che fa freddo...”). Nel quartiere dove vivo c’è una strada a senso unico, via Piero della Francesca, che sul lato destro ha un divieto di sosta permanente con rimozione forzata dall’inizio, in piazza Firenze, fino al termine in piazza Gramsci. Il più delle volte è ignorato: decine di auto parcheggiate, metà sul marciapiede metà sulla carreggiata. Il rischio d’essere multati è quello che conosciamo. Pensare di fermare una situazione del genere con le “zone 30” è allora come pensare d’intrappolare una tigre con la retina per le farfalle. Ma forse, il mio, è solo pessimismo leopardiano.