Quell''incertezza che frena la ripartenza

Lo stato di emergenza fino al 31 ottobre potrebbe trasmettere una sensazione di precarietà pericolosa e controindicata per il rilancio dell’economia.

In settimana, dopo che il premier Giuseppe Conte sarà andato in Senato a spiegarne le ragioni, sapremo se l’Italia resterà in stato d’emergenza fino al 31 ottobre. Da questa decisione dipendono una serie di questioni che riguardano la vita di tutti. Da un lato il prolungamento dello stato di emergenza allungherebbe i tempi di alcune misure straordinarie come la cassa integrazione e la possibilità di mantenere le norme di distanziamento e contenimento. Dall’altro, però, trasmetterebbe all’opinione pubblica, ma anche ai mercati e al sistema delle imprese, una sensazione di precarietà pericolosa e controindicata per il rilancio dell’economia. 

Se il premier chiederà, come sembra, altri tre mesi di emergenza significa che non esclude una seconda ondata del virus con relativo rischio di sovraccarico per le strutture sanitarie. E allora ci sarà da capire come giustificherà la sua contrarietà al Mes, che garantirebbe 36 miliardi di euro di prestiti convenientissimi per l’Italia e in grado di potenziare il servizio sanitario nazionale. Evidente la contraddizione, perché il fondo salvastati ci porrebbe al riparo da pericoli ulteriori per la nostra salute mettendo subito a disposizione del governo somme da destinare agli ospedali.

È chiaro che Giuseppe Conte su questo è prigioniero dell’ideologia grillina, da sempre contraria a vincolare la politica italiana ai condizionamenti di Bruxelles. La Lombardia, regione dall’inizio più colpita dal virus, ne trarrebbe giovamento. L’assessore regionale al Welfare, Giulio Gallera, ha evidenziato l’esigenza di rivedere alcune valutazioni sulla gestione della pandemia in Lombardia, visto che ora il triste primato dei contagi e dei decessi non c’è più. E che probabilmente le attività di monitoraggio della diffusione del virus varate dalla Regione cominciano a dare i loro frutti.

Questo al netto delle inchieste giudiziarie che stanno investendo il Pirellone e che andranno comunque seguite al di là delle polemiche partitiche e degli attacchi strumentali della politica. Sul fronte economico si comincia a intravedere la luce in fondo al tunnel. Le previsioni di Confindustria segnalano una lenta ripresa del Pil dopo i minimi toccati con la recessione nel secondo trimestre di quest’anno. La risalita, a fatica avviata a maggio-giugno, è ancora parziale e, precisano gli industriali, «i rischi che si affievolisca sono alti». E ancora: «Il freno post-lockdown è la domanda che resta bassa». Chiarissimo. Il prolungamento dello stato d’emergenza non favorirebbe il trend della ripartenza. La domanda di beni e servizi resterebbe contratta, visto che la gente continuerebbe ad avere paura di spendere in prospettiva di possibili nuove chiusure e limitazioni.