Il tempo stringe

Il pressing dell’Unione europea sul ministro dell’Economia Giovanni Tria circa l’impegno del governo italiano a rispettare le regole di bilancio si fa sempre più intenso

Milano, 16 giugno 2019 - È una corsa contro il tempo. Il pressing dell’Unione europea sul ministro dell’Economia Giovanni Tria circa l’impegno del governo italiano a rispettare le regole di bilancio si fa sempre più intenso. È vero che mancano ancora oltre venti giorni al 9 luglio, data in cui l’Ecofin potrebbe ufficialmente avviare la procedura di infrazione nei confronti dell’Italia.

Però le risposte che i partner europei attendono dal nostro Paese, come emerso dalle ultime riunioni di Lussemburgo, non possono che essere immediate e convincenti. Addirittura entro sette giorni, come venerdì ha intimato l’Ue al governo. Chi valuterà l’affidabilità della nostra manovra vuole avere tutti gli elementi utili per poter esprimere un giudizio dettagliato e argomentato, che non lasci spazio a ulteriori polemiche su un presunto ostracismo di Bruxelles nei confronti dell’esecutivo gialloverde. Ma Tria non ha problemi solo nella delicata negoziazione con l’Europa. Deve altresì sbrogliare l’intricata matassa dei rapporti fra Lega e Movimento 5 Stelle e tra i due vicepremier e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Il premier ha più volte rimarcato la necessità di trattare con l’Europa anziché sfidarla in un duello dagli esiti nefasti per l’economia italiana. Il «partito del dialogo» vede in Giovanni Tria un esponente autorevole, ben considerato dalle cancellerie europee che sperano nella riuscita della sua opera di persuasione sui due alleati di governo. Matteo Salvini continua a mantenere la barra dritta sulla proposta di flat tax. E si dice disposto ad accettare solo una sua applicazione graduale e progressiva. Il suo collega Luigi Di Maio ha ceduto sulla flat tax ma non vuole rinunciare alle risorse avanzate da reddito di cittadinanza e quota cento, che vorrebbe destinare a servizi pubblici anziché alla riduzione delle tasse.

Entrambi i leader continuano a fare melina perché in verità non hanno accantonato del tutto l’idea di andare al voto anticipato, che potrebbe fare chiarezza e fornire loro un alibi per la prossima legge di stabilità che altrimenti - in caso di prosecuzione dell’attuale legislatura - diventerebbe una patata bollente ad alto tasso di impopolarità. Il Quirinale, che pure ha ben altri grattacapi con la scandalo del Csm, non farebbe salti di gioia in caso di disgregazione dell’attuale quadro politico, ma ben difficilmente si ostinerebbe a tenere in vita la legislatura in corso contro il volere dei due azionisti di maggioranza. Salvini e Di Maio sono in fasi ben diverse del loro percorso politico. Il primo avrebbe tutto da guadagnare da un repentino ritorno alle urne, mentre il secondo rischierebbe seriamente la leadership e, in base alla regola pentastellata del tetto dei due mandati, non sarebbe neppure ricandidabile. Ecco perché il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico accetterà di buon grado i diktat salviniani pur di rimanere in sella e di superare l’attuale crisi del Movimento 5 Stelle.