Inghippo europeo

La vicenda dell’Ema accende un faro sui limiti della tutela giurisdizionale di alcuni Stati membri dell’Unione

Milano, 4 febbraio 2018 - La vicenda dell’Ema e del ricorso presentato dal Comune di Milano contro l’Olanda alla Corte di giustizia europea accende un faro su una questione molto più ampia e sui limiti della tutela giurisdizionale di alcuni Stati membri dell’Unione. Nell’Ue, infatti, non tutti gli Stati membri sono uguali sul piano della loro tutela in sede penale. Anzi, il sistema evidenzia una netta sperequazione in favore di quei Paesi nei quali hanno sede le istituzioni comunitarie, a discapito degli Stati dove non operano organi dell’Unione. La decisione contro l’Italia è stata presa in seno alla Commissione europea, che è in Francia. Si applica quindi la giurisdizione francese. Nell’ipotesi, dunque, che la questione del mancato assegnamento a Milano della sede dell’Ema non fosse solo di carattere politico-amministrativo ma, a titolo di esempio, risentisse anche di comportamenti a danno dell’Italia, si aprirebbe uno scenario di grande difficoltà sul piano dell’effettività della tutela penale in favore del nostro Paese.

È un problema politico importante. Problema che si riflette sul corretto bilanciamento dei rapporti tra diritti e doveri degli Stati nei confronti dell’Unione e che è destinato ad acuirsi nel prossimo periodo poiché, purtroppo, l’imbarbarimento istituzionale derivante dalla commistione tra affari e politica è in costante recrudescenza. Il tema nasce dalla configurazione giuridica dell’Ue, priva della sovranità territoriale, a differenza di un qualunque Stato e, con particolare riferimento al potere giudiziario, dotata solo di alcune istituzioni e organi specificamente previsti dai trattati e dalla normativa comunitaria. L’assenza di sovranità territoriale si riflette anche sul piano della giurisdizione penale, che con riferimento alla prevenzione e repressione di eventuali reati commessi da esponenti dell’Unione nell’esercizio delle loro funzioni (in danno di uno Stato membro), risulta del tutto assente. L’implicazione è presto detta: eventuali reati commessi nell’ambito dell’attività dell’Ue saranno inevitabilmente investigati e, in caso, processati secondo la legge del Paese nel quale ha sede l’istituzione comunitaria nel cui ambito sia stato commesso l’illecito. Con un effetto chiarissimo: i Paesi in cui hanno sede gli organi comunitari (Francia, Olanda, Lussemburgo) avranno riconosciuta la loro giurisdizione penale, con la possibilità di applicare il proprio diritto interno e gli strumenti giudiziari, anche investigativi, di casa propria. Agli altri Paesi, nel caso volessero avviare un’indagine, ad esempio, sulla regolarità dell’iter di una decisione che li coinvolge, non resterà che ricorrere a complicati - e talvolta insicuri, soprattutto in fase di indagine - meccanismi per attrarre la giurisdizione nel loro territorio e permettere la punibilità del cittadino o dello straniero per un reato interamente commesso all’estero. La sperequazione è evidente. Eppure la soluzione è facile: basterebbe attribuire per trattato all’Ue una diretta potestà penale giurisdizionale e normativa, da esercitarsi con gli abituali strumenti del regolamento e della direttiva