La Lombardia abbandonata problema di tutti

È una vecchia questione, ma stavolta, davvero, è un dato di fatto e non una rivendicazione politica

Milano, 15 marzo 2020 - È una vecchia questione, ma stavolta, davvero, è un dato di fatto e non una rivendicazione politica. Mai come ora lo Stato italiano è apparso lontano dalla Lombardia. Fin dallo scoppio dell’emergenza coronavirus, la terra più martoriata dal contagio si è trovata da sola a combattere contro un nemico così aggressivo, senza poter contare sul sostegno del governo. Quanto successo negli ultimissimi giorni ne è una conferma lampante. Ricordiamolo: il nodo cruciale è quello del numero di posti letto nei reparti di terapia intensiva. Il punto di rottura è a quota 1.200. Oltre questa soglia il sistema sanitario lombardo non è attualmente in grado di far fronte a ulteriori necessità di ricovero.

Al momento sono 732 i posti occupati nelle terapie intensive. Ed è in atto una corsa contro il tempo, perché ci si possa mantenere distanti dal punto critico. Il modello, è stato detto, è quello cinese. Per altro già sperimentato con successo a Wuhan con la costruzione di quattro ospedali prefabbricati in pochi giorni. Milano vorrebbe attrezzarne uno simile nei padiglioni del Portello, all’interno della Fiera. Cinquecento posti letto di terapia intensiva. Alla protezione civile spettava il compito di provvedere ai costi. Sia a quelli relativi alle macchine per la respirazione, che a quelli per l’allestimento della sale, che, infine, a quelli per il personale medico e paramedico. Nonostante le rassicurazioni il dipartimento presieduto da Borrelli si è tirato indietro adducendo motivazioni alquanto discutibili. La Regione Lombardia non demorde e, anzi, arruola come consulente del governatore Attilio Fontana l’ex commissario Guido Bertolaso. Lo stesso che il governo non ha voluto coinvolgere.

C’è anche la beffa. La Prefettura ha ritirato 200.000 mascherine inviate dalla protezione civile agli ospedali lombardi perché non idonee. Senza contare l’escalation di vittime registrate nella Bergamasca e nel Bresciano, dove l’appello dei sindaci a creare «zone rosse» come quella di Codogno è caduto nel vuoto. La situazione è grave. Ma dall’inizio dell’emergenza, il premier Giuseppe Conte e i suoi ministri - fatta eccezione per la velocissima trasferta di Roberto Speranza - non sono mai tornati a Milano e in Lombardia. Qui milioni di persone in isolamento volontario si trovano ad attendere la quotidiana conferenza stampa delle 18, scoprendo ogni volta come non si vada mai al di là della matematica conta dei casi positivi, dei pazienti deceduti e di quelli guariti. Senza mai trovare in quegli annunci drammatici un segnale costruttivo. Un problema che non è del Nord, ma investe tutta l’Italia.