È stata una fine silenziosa, quasi in punta di piedi. Il 31 luglio, dopo 94 anni, le porte di legno dell’Odeon di Milano si sono chiuse per sempre. Per i milanesi non era un cinema: era il cinema. Le poltrone di velluto che hanno ospitato generazioni dopo generazioni – dalle signore imbellettate degli anni Venti agli irruenti paninari degli anni Ottanta – ora sono vuote. Il palazzo, capolavoro dell’art déco, ospiterà un altro centro commerciale. La settima arte cede, ancora una volta, al nudo e freddo interesse del mercato. Non ha resistito alla pandemia, né all’urto dell’intrattenimento in streaming. E mentre le piattaforme americane si dividono un fatturato di oltre 60 miliardi di euro, in Italia le sale chiudono una dopo l’altra. Quando l’Odeon fu inaugurato, nel 1929, ce n’erano decine soltanto in centro. Ora se ne contano una ventina in tutta la città. Delle meravigliose storie che avrebbero potuto affollare il cinema, non resterà che la scritta posta sopra lo schermo della sala principale. “Ex taenebris vita”. Dalle tenebre la vita. E se il cinema non è che questo – vita – non ci resta che l’oscurità.
Editoriale e CommentoLà dove muore il cinema