CLIMA, MILANO PREPARA GLI ACCORDI DI GLASGOW

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IL G20 DI NAPOLI sul clima è stato deludente, malgrado la dichiarazione unanime in chiusura. Ora le speranze sono rivolte alla Cop26 di Glasgow, preceduta a fine settembre dalla pre-Cop di Milano, dove si dovranno affrontare una serie di questioni fondamentali e sempre più urgenti, prima fra tutte il rispetto degli impegni assunti oltre 5 anni fa con l’Accordo di Parigi, su cui moltissimi Paesi firmatari sono in ritardo. Il G20 è un forum internazionale composto da 19 Paesi e dall’Unione europea, che comprende le principali economie sviluppate ed emergenti del mondo. Rappresenta l’85 per cento del Pil mondiale, due terzi della popolazione, il 75 per cento del commercio internazionale e poco meno dell’80 per cento delle emissioni.

Resta tuttavia un gruppo disomogeneo non solo dal punto di vista del reddito, ma anche della struttura del sistema energetico. Include grandi Paesi consumatori di energia, come Cina e Usa, insieme a produttori di combustibili fossili come Arabia Saudita, Australia e Canada. Soprattutto, gli Stati che ne fanno parte non sono allineati per quanto riguarda la politica sul clima. Schematizzando, l’Ue e gli Usa restano fedeli all’idea di ridurre le emissioni di anidride carbonica assai rapidamente, mentre Paesi come Cina, India, Indonesia, Messico o Arabia Saudita sono decisamente più prudenti. Dal punto di vista pratico – e anche politico – l’assenza di un compromesso sull’uso del carbone e sulla necessità di contenere le emissioni a un valore compatibile con un incremento della temperatura non superiore a 1,5°C rende l’accordo concluso a fine luglio praticamente inutile. All’interno del testo del comunicato finale, che non è di semplice interpretazione per i non specialisti, in sette pagine fitte fitte i termini "carbone" o "fossile" non sono nemmeno presenti. Scarsi e tutto sommato ambigui i riferimenti agli accordi di Parigi. Resta in primo piano il tema dei temi, quello che era già presente quasi 25 anni fa quando è stato firmato il protocollo di Kyoto. I Paesi meno industrializzati non intendono assumersi obblighi minimamente paragonabili a quelli dell’Ue o degli Usa. È anche importante rimarcare che mentre si continua a guardare alla Cina come al paese degno di tutte le nostre attenzioni, ce ne sono altri – solo per rimanere in ambito G20 – come India, Indonesia e Brasile che dovrebbero godere dello stesso interesse. Alla conferenza di Glasgow, di cui l’Italia è co-organizzatrice, sarà dunque necessario allineare i risultati del G20, per quanto poco soddisfacenti, alle aspettative che sono maturate negli ultimi mesi sulla Cop26.

Rinviata e poi riorganizzata l’anno seguente a causa del Covid, la conferenza scozzese intende accendere un faro sugli impegni assunti oltre 5 anni fa con l’Accordo di Parigi, su cui molti Paesi firmatari sono in ritardo, anche se si avvicina il momento di rilanciare gli impegni con obiettivi ancora più ambiziosi. La questione della riduzione delle emissioni è sempre centrale nel dibattito delle Cop e lo è anche per la numero 26. Benché non sia stato discusso in modo dettagliato durante la conferenza del G20, rimane chiaro che la scienza continua a indicare la necessità di aumentare significativamente i nostri sforzi collettivi per mantenere l’incremento della temperatura entro il limite di 1,5°C. Il nuovo rapporto Ipcc insieme all’accordo di Parigi forniscono un chiaro meccanismo per garantire che gli sforzi vadano nella giusta direzione in un processo continuo e possibilmente condiviso. Molti Paesi hanno già espresso il proposito di presentare Ndc (National Determined Contribution) relativi al 2030 molto più ambiziosi di quelli del passato, ma in realtà solo pochi Paesi stanno ottemperando agli impegni già presi. Gli investimenti, in particolare quelli relativi al settore energetico, non stanno andando nella giusta direzione. La stessa Agenzia internazionale per l’energia ha speso di recente parole molto gravi e molto chiare al riguardo: se si vuole mantenere il riscaldamento globale entro 1,5°C bisogna smettere di costruire impianti alimentati da fonti fossili. In attesa della conferenza di Glasgow, diversi paesi hanno sottolineato l’importanza del Global Stocktake. Il meccanismo – previsto negli accordi di Parigi – impegna i Paesi a considerare un bilancio globale ogni cinque anni per valutare i progressi collettivi dei Paesi verso gli obiettivi a lungo termine dell’accordo. Il processo di valutazione ha lo scopo di informare il prossimo round di Ndc al fine di aumentare il loro livello di ambizione.

"La COP26 è un test di credibilità per la nostra lotta all’emergenza climatica. Con la verifica degli Ndc, i Paesi possono tradurre i propri obiettivi al 2050 in traguardi progressivi e trasformare obiettivi lontani in azioni immediate", ha fatto notere Patricia Espinosa (a sinistra), segretario esecutivo dell’Un Climate Change. "La Cop26 offre anche l’opportunità alle nazioni sviluppate di mantenere il proprio impegno a mobilitare congiuntamente 100 miliardi di dollari l’anno alle nazioni in via di sviluppo. Questo impegno non è stato ancora rispettato, determinando un significativo crollo della fiducia tra le parti. I Paesi in via di sviluppo hanno bisogno del sostegno che è stato loro promesso per promuovere l’azione a favore del clima", ha esortato Espinosa. Aumentare la fiducia tra i Paesi industrializzati e gli altri sarà essenziale per arginare l’emergenza climatica.