Smart-working, dopo un anno solo caos

Solo 130 accordi aziendali in tutta la regione. Eppure l’uso del 'lavoro agile' dilaga. "Senza regole certe si finisce per non staccare mai"

Smart working (Ansa)

Smart working (Ansa)

Milano - Il diritto alla disconnessione resta solo sulla carta, una "parola vuota" per chi riceve messaggi e telefonate a ogni ora. Le bollette di casa lievitano, battaglie per ottenere computer aziendali e buoni pasto. Dopo un anno di pandemia si torna alla casella di partenza nella Lombardia zona rossa, con una "situazione d’emergenza permanente nei luoghi di lavoro" che fa parlare ai sindacati di "tempo buttato" per trasformare l’home working (il lavoro da casa) in smart working (il lavoro “furbo“) e superare gli infiniti problemi nel conciliare vita privata e l’impegno professionale.

"Dal nostro ultimo censimento in Lombardia ci risultano 120-130 accordi aziendali firmati da Cgil, Cisl e Uil", spiega Valentina Cappelletti, segretaria regionale della Cgil. "Un numero ancora esiguo considerando il numero di aziende che stanno facendo lavorare da casa i dipendenti – prosegue -. Dove è presente il sindacato sono stati raggiunti risultati, ma in generale si è perso tempo per arrivare a un’organizzazione del lavoro avanzata". Gli accordi riguardano, nella maggior parte dei casi, big dell’industria che prima della pandemia applicavano già forme di smart working. Poi c’è il “buco nero“ delle imprese più piccole o di quelle, anche di grosse dimensioni, dove il sindacato non è presente. In tante aziende sono stati varati regolamenti interni, ma nessuno controlla se vengono applicati. Un mondo variegato e difficile da mappare, anche se in gioco ci sono grossi numeri: in Lombardia, secondo gli ultimi dati Istat, applica il lavoro a distanza il 90% delle aziende private con più di 250 addetti, il 73% di quelle da 50 a 249 addetti, il 48% delle aziende da 10 a 49, il 18% delle micro imprese.

Fino a febbraio 2019 solo l’1,2% del personale era in lavoro agile, mentre ora si sfiora il 10%. Negli uffici pubblici lombardi il 98% lavora da casa. "Il compito del sindacato è quello di garantire i diritti primari: migliori condizioni di lavoro, trattamento economico che comprenda sia le spese sostenute che l’aumento di produttività, possibilità di accesso anche ai lavoratori più svantaggiati o che per operare necessitino di supporti adeguati", spiega Michela Rusciano (Uil). Loreta D’Andola, segretaria generale aggiunta della First-Cisl milanese, è in prima linea nelle trattative nel settore assicurativo, uno di quelli con la più alta incidenza di lavoratori a distanza. Settore che lo scorso 24 febbraio aveva visto la firma dell’intesa con l’associazione di categoria Ania per un linee guida per le "future negoziazioni che normeranno il lavoro agile" post emergenza. "Finora l’unica azienda che ha siglato un accordo di smart working recependolo nel contratto integrativo è la Cardif – spiega la sindacalista – negli altri casi ci sono stati solo accordi emergenziali". Fra i casi virtuosi, nei vari settori, le intese con Poste, le farmaceutiche Sanofi e Bayer, Tim e Atm. "Sono stati fatti passi avanti – spiega Eustachio Rosa, segretario generale Femca-Cisl Milano – nel nostro ambito le aziende più restie sono quelle della moda. Il problema, poi, al di là dei buoni propositi è controllare che i patti vengano rispettati".