"Reddito di cittadinanza? Con il Covid ho preferito lavorare. Oggi lo Stato mi massacra"

Lo sfogo: nel biennio della pandemia, con partita Iva guadagna meno di un operaio, inventandosi di tutto. L'anticipo delle tasse la mette in ginocchio

Marika Bertoni nel suo studio

Marika Bertoni nel suo studio

“Mettersi a piangere a 37 anni, quando ti arriva il modello da pagare alla dichiarazione dei redditi. Fatto. Dopo quasi due anni di pandemia, in cui mi sono data da fare in tutti i modi pur di lavorare, inventandomi progetti di ogni genere e mettendo in pratica quello che avevo imparato nella vita, vedermi un salasso da pagare alla voce anticipo di imposta brucia dentro”. E’ lo sfogo di Marika Bertoni, 37 anni, formazione da fotografa a Milano e studi in tante diverse discipline, che poi ha esportato, da free lance, nel suo paese di origine, Mori, in provincia di Trento. “In questi due anni di pandemia - dice - sono una delle tante persone che hanno affrontato la crisi senza cercare sconti o scuse per ritirarsi in una zona di comfort. Ideando  di volta in volta dei lavori, pur di riuscire nell'obiettivo dell’indipendenza economica, senza sussidi statali. Ma la scelta, a volte, non paga".

Marika Bertoni nel suo studio
Marika Bertoni nel suo studio

Marika è  in proprio da quattro anni, da quando è uscita dalla casa dei suoi per essere autonoma, paga un affitto di 500 euro al mese, ma negli ultimi due anni ha guadagnato meno di un operaio. Pochi giorni fa, al momento della dichiarazione dei redditi, si è vista richiedere dallo Stato una prima rata da 2.500 euro, da versare entro fine giugno, e una seconda da quasi mille, per novembre, il famoso anticipo sui presunti redditi futuri. “Avrei potuto incassare il reddito di cittadinanza - continua - contro il quale  non ho nulla, ma cercare di lavorare è stata una mia scelta. Volevo non pesare su nessuno inseguire una dignità per me stessa. Così mi ero aperta una partita Iva come fotografa, ma in questi due anni ho anche fatto saltuariamente l'insegnante di yoga e l'assistente per i bambini autistici nelle scuole. Grazie alla mia esperienza con progetti di fotografia terapeutica in una cooperativa sociale che assisteva persone con disabilità cognitiva“.

Marika Bertoni nel suo studio
Marika Bertoni nel suo studio

Un lavoro, questo, sul filo del volontariato, che Marika ha però fatto volentieri, ad integrazione degli altri, perché da sempre avverte una decisa propensione alla solidarietà. Tanto da aver fondato una associazione di promozione sociale e culturale, che aveva predisposto due progetti Erasmus di mobilità europea. Ma anche per lei il Covid è stato una mazzata: “Quando è iniziata la pandemia - racconta - tutto si è fermato. Non mi sono comunque arresa e, pur guadagnando poco, ho cercato di fare molte cose. Per fortuna, lavorando su grafica e fotografia, stare a casa non è stato neanche un ostacolo insormontabile“. In regime forfettario, lo stipendio quasi da operaio non consente però di scialare. “Certo, ero comunque soddisfatta di avere fatto tutto da sola. Ma nel biennio della pandemia non ho guadagnato, sono sopravvissuta. Come molti. Cosciente che lavorare nel sociale, in particolare, non sia remunerativo. Scelte. Poi la botta dell’anticipo richiesto. “Nella vita ho fatto di tutto, onestamente. Anche la cameriera. ma nel momento in cui devo attingere ai risparmi per tirare avanti, è una sconfitta".

Marika Bertoni davanti a un suo scatto fatto ai bambini in Kurdistan
Marika Bertoni davanti a un suo scatto fatto ai bambini in Kurdistan

Marika ammette: “Conosco le regole. E’ normale che lo Stato da sempre ti chieda un anticipo sui tuoi presunti guadagni futuri. Ma vedo gente che è rimasta a casa, ha preso i sussidi e non deve pagare niente. Questo meccanismo scoraggia però chi si dà da fare. E’ una riflessione che credo non sia solo mia. Vedo, nelle persone che hanno fatto la mia scelta, una stanchezza generale. In Italia è molto difficile essere free lance“. La frustrazione di Marika è ben esplicitata nella sintesi finale: “Mi sono sempre sentita libera, nell’assecondare con il lavoro quello che sentivo dentro. E l’idea di fare bene a qualcun altro. Ma oggi mi sento più stanca che libera, perché ho dovuto abbandonare progetti sociali e di volontariato pur di sopravvivere... e questa non è libertà. Chiedere, dopo due anni di pandemia, a un libero professionista che è rimasto sulle sue gambe per miracolo, l’anticipo sulle imposte, sembra quasi uno scherzo cinico. Invece è la norma. Sono fortunata, perché riesco comunque a fare le cose che mi piacciono. E per fortuna ho solo una gatta da mantenere. Uno Stato corretto però dovrebbe dirti: tu non mi hai chiesto niente, adesso io ti dò una mano..."