VACCINO COVID, COME STANNO LE COSE TRA DATORI E DIPENDENTI

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LA SEZIONE LAVORO del Tribunale di Modena ha recentemente respinto il ricorso promosso da due fisioterapiste, dipendenti e socie di una cooperativa, in merito al provvedimento di quest’ultima di sospensione dal rapporto di lavoro e dalla retribuzione emesso a fronte del rifiuto delle lavoratrici di sottoporsi a vaccinazione anti Covid-19. La pronuncia offre spunti di riflessione interessanti ripercorrendo quanto affermato, tra le altre, dalla Corte Costituzionale, che ha sancito che l’interesse della salute e della sicurezza è predominante rispetto alla libera autodeterminazione individuale, ossia al diritto a non essere obbligati a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.

Elemento fondante della decisione del Tribunale di Modena è il dovere di collaborazione tra datore di lavoro e lavoratore alla luce dell’obiettivo primario della sicurezza e prevenzione sul posto di lavoro e, quindi, di un ambiente di lavoro salubre e sicuro per coloro che vi lavorano e vi abbiano accesso. Il dipendente, infatti, oltre al dovere principale di mettere a disposizione la propria prestazione lavorativa, ha l’obbligo di prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo del lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione alle istruzioni e mezzi forniti dal datore di lavoro. Il giudice ha quindi ritenuto che le ricorrenti, impiegate in mansioni di natura sanitaria, nel rifiutarsi di adottare la misura precauzionale della vaccinazione anti Covid avessero disatteso il proprio dovere di collaborazione in materia di sicurezza, e ciò anche se l’obbligatorietà di tale trattamento sanitario all’epoca dei fatti di causa non era imposta per legge. Il giudice, pur reputando che il contegno omissivo dalle lavoratrici non fosse rimproverabile a livello soggettivo alla luce della libertà di autodeterminazione, ha quindi valutato legittima la reazione del datore di lavoro di inibire la prosecuzione del rapporto di lavoro, che avrebbe comportato contatti diretti delle lavoratrici con gli utenti della Rsa presso cui operavano.

I principi enunciati dalla sentenza del Tribunale di Modena possono estendersi anche a lavoratori estranei all’area delle professioni sanitarie? La risposta, da valutare comunque caso per caso, può essere affermativa qualora il datore di lavoro, aggiornando il proprio documento di valutazione dei rischi (Dvr) per includere la valutazione del rischio epidemico, abbia individuato la richiesta al personale di sottoporsi a vaccinazione tra le misure e cautele utili a mantenere un livello elevato di salute e sicurezza per dipendenti e terzi. Questo tenendo anche in considerazione l’attività svolta (perché ad esempio i dipendenti operano a contatto con il pubblico o con modalità che non consentono il necessario distanziamento) e i rischi effettivi riscontrati all’interno dell’ambiente di lavoro, o che possano derivare dall’azione di fattori esterni.

Ciò anche alla luce della direttiva UE 7392020 che ha incluso il Covid-19 tra gli agenti biologici di categoria 3, con possibilità quindi di applicare il D.Lgs. 812001 ai lavoratori esposti ad agenti biologici non solo perché addetti alle attività che implicano un rischio specifico endogeno, ma anche se operanti in un ambiente di lavoro che potrebbe implicare un rischio di diffusione del Covid. Sul punto, va ricordato che se grava sul datore di lavoro l’obbligo di vigilare e sottoporre a sorveglianza sanitaria i propri dipendenti, in nessun modo esso può acquisire i nominativi del personale che si sia sottoposto a vaccinazione, anche in caso di consenso del lavoratore. Sarà il medico competente, nell’ambito delle proprie attività di sorveglianza sanitaria, l’unico soggetto legittimato a trattare i dati sanitari dei dipendenti e a stabilire se la non vaccinazione possa incidere sull’idoneità a rendere la loro prestazione lavorativa. Pertanto, sulla base di un’indicazione di inidoneità del medico competente, il datore di lavoro sarà tenuto ad attribuire al lavoratore mansioni equivalenti (o inferiori, garantendo un trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza); nel caso ciò non fosse possibile – per non incorrere in responsabilità civile e penale –, deve provvedere all’allontanamento temporaneo del lavoratore con sospensione della retribuzione.

* Avvocato, partner Pirola Pennuto Zei & associati