Riforma fiscale, giù le mani dai fondi pensione

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NON C’È STATO convegno in questi anni, dedicato alla previdenza complementare, nel quale il fior fiore degli economisti, degli esperti del settore, dei leader delle parti sociali, non abbiano messo in risalto il ruolo e la funzione dei fondi pensione negoziali e contrattuali come leva e volano degli investimenti in attività innovative e produttive ad alto valore aggiunto nel nostro Paese. Ma se questo è sempre stato vero, possiamo ben dire che diventa addirittura urgente e decisivo in quella fase post-Coronavirus che tutti auspichiamo arrivi al più presto in termini compiuti e definiti. La ripresa economica e il rilancio dell’occupazione, dunque, non possono che passare dalla mobilitazione efficace e comunque sia prudente di tutte le risorse possibili raccolte e gestite dai fondi pensione. Peccato, però, che la politica, e nello specifico un organismo parlamentare di primo piano, abbia manifestato proprio in queste settimane orientamenti e indicazioni che vanno in tutt’altra direzione, con un segnale di gravissimo scollamento non solo rispetto alla realtà, ma anche rispetto alle esigenze vere e radicate del Paese e del mondo del lavoro.

Come ha scritto autorevolmente Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari previdenziali, "sebbene le statistiche sulle adesioni e le difficoltà del mercato del lavoro spingano verso un più robusto sviluppo della previdenza complementare in Italia, le recenti proposte delle Commissioni Finanze di Camera e Senato sulla riforma fiscale sembrano andare in tutt’altra direzione: se accolte, i fondi pensione rischiano un pericoloso passo indietro". Il perché è presto detto e lo spiega lo stesso Brambilla: "La Commissione concorda che, nel rispetto delle compatibilità finanziarie, sia importante l’applicazione alla previdenza complementare del modello che prevede l’esenzione dall’imposta sostitutiva sul risultato netto maturato, considerando al contempo la modifica del regime di tassazione per la fase di erogazione delle prestazioni", con l’aggiunta che "ovviamente andrebbe uniformata la tassazione in fase di prestazione, considerando la tassazione secondo le aliquote Irpef ordinarie".

Senza entrare nei tecnicismi, ma andando subito agli effetti pratici della soluzione prospettata, possiamo dire che attualmente le prestazioni in rendita e capitale erogate dai fondi ai lavoratori sono tassate con aliquota sostitutiva tra il 15% e il 9% per incentivare la permanenza nei fondi: dopo il 15esimo anno di permanenza, per ogni anno successivo la tassazione si riduce dello 0,3% fino a raggiungere il 9%. Evidente l’incentivo a iscriversi e ad alimentare il fondo e, dunque, la pensione complementare. Non solo: l’aliquota sostitutiva fa sì che i redditi da fondi pensione non si cumulano con altri redditi e soprattutto con quelli della pensione pubblica e, per questa via, non impediscono neanche di godere delle svariate agevolazioni legate ai reddito. Passare all’ipotesi prospettata dalle Commissioni presiedute da Marattin e D’Alfonso, spiega sempre Brambilla, "significa togliere la tassazione del 20% sui rendimenti (20% di un rendimento del 3% è 0,6%) e tassare ad aliquota marginale (cumulo dei redditi) le prestazioni finali: insomma, ci tolgono lo 0,6% e ci fanno pagare fino al 46%". Con la perdita di bonus e maggiorazioni fiscali derivanti dalla sola pensione pubblica. Insomma, tornare a quella che era la formula voluta da Vincenzo Visco significherebbe distruggere la previdenza complementare.

Nel giro di qualche mese non solo non avremmo più adesioni alla previdenza complementare, ma rischieremmo di vedere esaurirsi anche l’attuale flusso di contribuzioni. E allora altro che risorse per la ripresa del Paese. Altro che nuova occupazione. E, d’altra parte, non è meno deleteria l’altra ipotesi relativa alla portabilità della propria posizione contributiva tra fondi negoziali e altri fondi: si trascura sempre di osservare che i primi sono di origine contrattuale tra sindacati e associazioni imprenditoriale e che come tali possono contare sul contributo del datore di lavoro, oltre che su quello del lavoratore e sul Tfr. A questo punto, non possiamo che augurarci una sola cosa: che sia Mario Draghi, dall’alto della sua competenza e del suo equilibrio, a bocciare queste devastanti ipotesi delle Commissioni parlamentari.

* Presidente del Fondo pensione Fon.Te