LAVORO: LAUREATI NELL’IMBUTO COVID, MA STUDIARE CONTA

Migration

TRA I LAUREATI DEL 2021 forse qualcuno è riuscito a discutere la tesi in presenza e i più fortunati hanno anche festeggiato con qualche amico. Ora, però, per entrare nel mercato del lavoro dovranno competere non solo con quelli che la laurea l’hanno ottenuta nel 2020 e sono stati frenati dalla seconda ondata del Covid-19, ma anche con tutti coloro che hanno perso e perderanno il lavoro con la fine del blocco dei licenziamenti. Una sorta di imbuto che renderà la vita difficile a molti di quelli che sono appena usciti o usciranno a breve dalle università.

I dati del XXIII Rapporto AlmaLaurea sui neolaureati italiani lo confermano. A un anno dal titolo, il tasso di occupazione è pari al 69,2% tra i laureati di primo livello e al 68,1% tra quelli di secondo livello: più basso di 4,9 punti percentuali per i primi e di 3,6 punti per i secondi, rispetto all’annata precedente. La situazione peggiora se si è donne (gli uomini hanno il 17,8% di probabilità in più di essere occupati) o del Sud (al Nord le probabilità aumentano del 30,8%). L’istruzione superiore, però, conviene ancora. All’aumentare del livello del titolo di studio posseduto diminuisce, infatti, il rischio di restare ‘intrappolati’ nell’area della disoccupazione. I laureati godono di vantaggi occupazionali importanti rispetto ai diplomati delle scuole di secondo grado durante l’arco della vita lavorativa: nel 2020 il tasso di occupazione della fascia d’età 20-64 è pari al 78% tra i laureati, rispetto al 65,1% di chi è in possesso di un diploma. E la documentazione Ocse più recente evidenzia che, nel 2018, un laureato guadagnava in media il 37% in più rispetto a un diplomato delle scuole di secondo grado. Il confronto con la rilevazione AlmaLaurea dello scorso anno mostra inoltre che i laureati a 5 anni dal conseguimento del titolo hanno retto bene alla crisi causata dalla pandemia.

Nel 2020, a cinque anni dal conseguimento del titolo, il tasso di occupazione è pari all’88,1% per i laureati di primo livello e all’87,7% per i laureati di secondo livello. Rispetto alla precedente indagine è in calo di appena 0,6 punti percentuali tra i laureati di primo livello e addirittura in aumento di 0,9 punti tra i laureati di secondo livello. Anche le retribuzioni dei laureati hanno tenuto. Nel 2020 la retribuzione mensile netta a un anno dal titolo è, in media, di 1.270 euro per i laureati di primo livello e di 1.364 euro per i laureati di secondo livello, in aumento del 5,4% per i laureati di primo livello e del 6,4% per quelli di secondo livello, rispetto alla precedente rilevazione. A cinque anni dal conseguimento del titolo la retribuzione mensile netta è di 1.469 euro per i laureati di primo livello (+4,3%) e di 1.556 euro per quelli di secondo livello (+4%). Questi incrementi si inseriscono in un contesto storico caratterizzato da alcuni anni di aumento delle retribuzioni dei laureati, su cui la crisi pandemica non ha avuto ripercussioni negative. Nel 2020, a un anno dal conseguimento del titolo la forma contrattuale più diffusa è il lavoro a tempo determinato, mentre a cinque anni dal conseguimento del titolo è il contratto a tempo indeterminato, che riguarda oltre la metà degli occupati. Due terzi degli occupati, dopo cinque anni, considera il titolo di laurea "molto efficace o efficace" per lo svolgimento del proprio lavoro. Per quanto riguarda le prospettive di occupazione, cresce la percentuale di chi sarebbe disposto a trasferirsi all’estero (il 45,8% dei laureati contro il 42% del 2010).

Aumenta per tutti lo smart working: nel 2020 ha coinvolto quasi il 19% dei laureati di primo livello e il 37% dei laureati di secondo livello occupati a un anno dal titolo. Questi valori appaiono decisamente più elevati di quelli osservati nella rilevazione del 2019, quando erano pari al 3,1% per i laureati di primo livello e al 4,3% per quelli di secondo a un anno dal titolo. "In generale, più che la qualità del lavoro svolto, la pandemia pare aver colpito soprattutto le possibilità di trovare un’occupazione", scrive il rapporto. Il tasso di occupazione risulta generalmente in calo più per le donne che per gli uomini, in particolare tra le laureate di primo livello più che per quelle di secondo (-8,8% e -7,2%). Lo scarto negativo per le donne laureate è stato ancora più forte nel secondo periodo dell’anno, quello caratterizzato dalla graduale riapertura delle attività economiche.