LA NUOVA ERA ENERGETICA IMPONE SFIDE, NON È TEMPO DI ANIME BELLE

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CHE LO SI VOGLIA o no, sotto la spinta delle nuove tecnologie digitali e del cambio energetico, comincia una nuova era che supererà definitivamente il modo di pensare e produrre del ‘900. Saranno ancora una volta le acquisizioni scientifiche e gli avanzamenti tecnologici a sciogliere i “nodi” del nuovo modello di sviluppo. I simboli di questa “rivoluzione”, se vogliamo semplificare, saranno la scomparsa nel brevemedio periodo delle fonti fossili per usi energetici e del motore a scoppio, entrambe filiere importanti del nostro Paese. La posta in gioco è alta, altissima, ed ha come obiettivi la salvezza del pianeta e, insieme, la modernizzazione della società e del lavoro, attraverso l’innovazione. Non sarà un pranzo di gala, per dirla con il vecchio Mao, perché, al pari di tutti i grandi cambiamenti, non esiste uno ‘switch’ tra il prima ed il dopo, ma una fase di transizione tra un modello e l’altro che richiederà scelte importanti e lucidità di analisi, non riconducibili alle vecchie categorie economiche, o almeno non solo.

Non si risolverà nè lasciando fare agli istinti del mercato, nè attraverso il solo intervento pubblico.

Stato e mercato dovranno mobilitare grandi quantità di risorse, concorrere ad accelerare quella fase di transizione verso “il nuovo mondo”; dovranno pensare, studiare e realizzare nuovi processi di innovazione e usare lo sviluppo tecnologico per gestire i difficili processi di riconversione del nostro apparato industriale e del sistema dei servizi.

Per un paese come l’Italia, inoltre, sarà decisivo non perdere il contatto con il sistema industriale della Ue, a cominciare da quello tedesco di cui siamo in larga parte fornitori. L’Italia è un grande paese industriale e la scommessa sarà vinta se continuerà ad esserlo. Ciò significa che dovrà sapere creare nuovo lavoro e innovazione; e riconvertire il vecchio lavoro. Ed è da come saremo capaci di produrre innovazione e da come gestiremo la transizione che dipenderanno successi o sconfitte.

La ‘filiera energivora’ italiana è forte e strategica. Siamo un paese con una robusta industria di base, arricchita da distretti industriali – cuore dell’export italiano –, che non hanno fatto solo le fortune industriali italiane, ma anche la ricchezza di intere aree del Paese. L’Italia è un paese che in virtù delle sue specializzazioni e della composizione delle sue filiere produttive, ha visto crescere gli investimenti diretti esteri; abbiamo una forte presenza di gruppi multinazionali che hanno prodotto ricchezza ed hanno acquisito specializzazioni, innovazione, eccellenze, qualità di molti settori strategici della nostra industria, a partire dal Made in Italy. Governare la transizione significa guardare, quindi, ad un contesto complesso che mette in gioco le prospettive del Paese. Sarà la capacità di mantenere il nostro posizionamento globale nell’industria il punto nevralgico del nuovo modello di sviluppo. E qualche preoccupazione è bene coltivarla. Basta guardare al Mezzogiorno del paese. Sarà decisiva una visione complessiva del rapporto tra i vecchi, grandi poli di sviluppo ed il territorio. Pensiamo un momento a Taranto senza Ilva, Brindisi senza il petrolchimico o Gela senza la raffineria, piuttosto che PrioloSiracusa senza il loro polo chimicoenergetico. Ma vale anche per Ravenna ed il suo polo energetico, Piombino ed il suo acciaio ed il sistema diffuso dell’automotive, che proprio nel Mezzogiorno, ed ovviamente non solo, ha una sua forte concentrazione. L’elenco è lungo. Dentro questa faticosa e difficile transizione è in gioco il futuro di milioni di persone, non solo lavoratori, ma i figli di un modello, a tratti vincente, di un’altra fase della nostra storia industriale.

Non è tempo di anime belle e non stiamo disegnando il futuro in uno spazio vuoto. Ogni tratto della nostra matita toccherà persone, relazioni, stili di vita. La sfida sarà vinta se lo Stato saprà coniugare presente e futuro e, lo dico da uomo del Sud, se saprà evitare una nuova, umiliante migrazione.

Abbiamo bisogno, ciascuno per le proprie responsabilità, di dare forza politica e culturale al sistema Paese. E sarà anche una grande prova di responsabilità per tutti noi. A partire dal sindacato confederale.

* Segretario confederale Cgil, con delega alle Politiche Industriali e delle Reti