LA SCOSSA VERDE DEL PNRR ALL’ECONOMIA, IL RISCHIO REGOLATORIO

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È SEMPRE PIÙ IL VERDE il colore dominante del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, la traduzione italiana del Next Generation EU che, dopo il contestato “parto” sotto il Governo Conte e la sua riscrittura da parte del Governo Draghi, taglierà il traguardo entro il 30 aprile per l’invio a Bruxelles. Mentre fervono i lavori per definire i progetti operativi del Piano nel cantiere di Governo (che sembra sia stato trovato ’vuoto’ da Mario Draghi al momento dell’insediamento), il conto delle risorse destinate agli investimenti “green” diventa infatti sempre più consistente.

Il punto di partenza è costituito dai 69.8 miliardi destinati dal Piano al capitolo ‘rivoluzione verde e transizione ecologica’, di gran lunga il più importante nell’ambito dei circa 220 miliardi di euro destinati all’Italia dal ‘Piano Marshall del nuovo millennio’: al suo interno 7 miliardi di investimenti sono previsti per "impresa verde ed economia circolare", in cui l’Italia può già contare sulla leadership in Europa, 18.2 miliardi per "transizione energetica e mobilità locale sostenibile", su cui siamo invece in ritardo, così come su "efficienza energetica e riqualificazione degli edifici" finanziate con 29,5 miliardi. Completa il quadro la "tutela e valorizzazione del territorio e della risorsa idrica" con una dotazione di 15 miliardi. Se si aggiungono poi i fondi per la programmazione europea, lo stock di risorse verdi disponibili nei prossimi anni sale a 79 miliardi di euro. Infine rientra negli investimenti verdi anche una quota significativa dei 31.9 miliardi assegnati ad un’altra missione fondamentale del PNRR, lo sviluppo delle “infrastrutture per una mobilità sostenibile”. Il conto totale sfiora i 100 miliardi di euro: una mole di risorse in grado di generare una vera e propria scossa verde nel nostro Paese. Questa storica chance andrà però clamorosamente sprecata, se non saranno definiti obiettivi e progetti strategici in grado di cambiare il volto del Paese. Banco di prova decisivo per valutare la qualità del Piano saranno le scelte compiute nel settore delle energie rinnovabili e, più ampiamente, della transizione energetica. Per capirlo basta uno sguardo ai Piani nazionali dei nostri vicini: la Germania punta su una strategia integrata per posizionare l’industria automobilistica tedesca come leader della mobilità elettrica, la Francia sugli investimenti nelle tecnologie dell’idrogeno, la Spagna sullo sviluppo delle rinnovabili come driver principale del futuro del Paese.

In Italia non dovranno essere disattese le aspettative generate dall’istituzione del Ministero della Transizione Ecologica, la cui ratio è costituita proprio dall’integrazione delle competenze del Ministero dell’Ambiente con quelle relative allo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili e sostenibili. Ma le ambizioni italiane non potranno essere misurate solo sui target di crescita delle rinnovabili, che dovranno essere supportati dal potenziamento della produzione in Italia di tecnologie per la decarbonizzazione. Ancora più importante sarà – come ha riconosciuto di fronte alle Commissioni parlamentari il Ministro Cingolani – rivoluzionare le procedure amministrative di ‘permitting’, che determinano il tempo che intercorre tra la richiesta di valutazione ambientale di un investimento energetico e l’apertura del cantiere. Molto del successo della scossa verde del Piano dipenderà dalla capacità del Governo Draghi di semplificare gli iter autorizzativi degli impianti rinnovabili e di imporre tempi certi per la chiusura delle pratiche: oggi richiedono un tempo-monstre che oscilla tra i 4 e i 5 anni, con punte fino a 8 anni. Un orizzonte temporale che scoraggia anche il più paziente degli investitori e che genera un altro effetto perverso: dopo tanti anni di attesa, entrano in esercizio in Italia impianti basati su progetti e tecnologie già vecchie, superate dalla corsa all’innovazione nel settore. Analogamente, occorre rivedere il meccanismo delle aste per gli impianti di fonti rinnovabili: di recente in Spagna la domanda relativa agli impianti eolici è stata tre volte superiore all’offerta, mentre in Italia è stata aggiudicata meno di un quarto della capacità messa a gara. Il “rischio regolatorio”, dunque, è il vero fantasma che aleggia sulle magnifiche sorti del Next Generation EU in Italia. Dopo decenni di sterili annunci, abbiamo oggi 220 miliardi di incentivi per passare ai fatti.

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